Amarcord: La recensione di Salernitana – Juve Stabia

Editoriale

Dicembre 16, 2024

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Salernitana – Juve Stabia è un proiettore delle memorie, richiama incontri, scontri, momenti nostalgici, iconici e storici. Calcio e memoria, ma anche cinema e memoria, perché anche la settima arte è un proiettore della coscienza, della psiche, dell’inconscio collettivo, della storia, essa nella fase più matura si è evoluta – come sottolinea Gilles Deleuze nell’omonimo saggio – in immagine-tempo.

Il ricordo più dolce per i salernitani è sicuramente la partita del 1994, dove i granata guidati da un Delio Rossi in forte ascesa, ottengono la promozione nella serie cadetta, dopo aver battuto proprio la Juve Stabia al San Paolo di Napoli con un secco 3-0 in finale Play-Off.

Il ricordo di un evento specifico, nel gergo italiano moderno è collegato direttamente al termine “Amarcord”. Parola che si utilizza non solo nel calcio, ma tout court a sfondo sociale. Amarcord deriva in primis – ma non soltanto – dall’omonimo film di Federico Fellini, che nel 1973 decide di fare i conti con una sorta di nostalgia autobiografica, quasi come se attraverso il cinema volesse metabolizzare momenti, personaggi, frame della propria vita giovanile (un’operazione che più recentemente con l’opera É stata la mano di Dio ha fatto anche Paolo Sorrentino).

La vita di Fellini è caratterizzata dall’abbandono della città di provincia – nel suo caso Rimini – per approdare nella capitale italiana, lì dove ha inizio la strepitosa ed epocale carriera come regista cinematografico, iniziata con la co-regia insieme ad Alberto Lattuada di Luci del varietà (1950) e in solitaria con Lo sceicco bianco (1952). Esigenze lavorative, professionali, ma non emotive, perché in Amarcord il cineasta omaggia il borgo di provincia, seppur mostrandone pregi e difetti, peculiarità e vicissitudini, prelibatezze e oscurità. Lo fa attraverso lo stile di sempre: la danza, l’irriverenza dei personaggi, l’erotismo, l’onirismo e le leggende popolari.

Se, per Fellini, Amarcord è un incontro catartico con una parte – seppur inconscia – del proprio essere, per la Salernitana è uno scontro totale tra i ricordi delle gesta passate, e l’incubo che si sta vivendo nell’ultimo biennio. In primis per i risultati, perché perdere in casa il derby per 1-2 è avvilente dopo una stagione iniziata già in salita, a maggior ragione se la Juve Stabia si dimostra squadra più adeguata alla serie B su tutti i fronti: atletici, tattici, tecnici e mentali. Troppo poco incisiva in avanti la Salernitana (che comunque spreca qualche occasione, soprattutto con Verde), e troppo poco performante in difesa, contro una squadra giovane ed in forte entusiasmo.

Poi perché c’è un caos societario che si spera venga risolto al più presto, per dare una linea tracciata e chiara al progetto Salernitana, dopo il disimpegno nell’organigramma di Iervolino. Infine, per la situazione della piazza: divisa, affranta, ferita, quasi disinteressata a tratti. Essa si trova in quella forma di sofferenza che man mano porta all’apatia, e quella è la fase più preoccupante.

Non aiuta nemmeno il momento Amarcord dovuto nell’ultima settimana alla vicenda dell’ex presidente Aniello Aliberti, che aveva annunciato il ritorno all’Arechi proprio per il derby contro le vespe, salvo fare poi dietrofront, dopo uno striscione polemico e diretto da parte della Curva Sud Siberiano nei suoi confronti. Una situazione extra che non aiuta in generale in questo periodo, perché fa piovere sul bagnato.

È momento Amarcord anche per la gestione tecnica, che dopo l’inizio anche promettente (quattro punti in due gare) del Colantuono-quater, intacca nelle prime polemiche ambientali, dove si ritorna a credere che questo allenatore non è al momento un plus per il club. Tuttavia, solo il tempo potrà confermarlo, e solo gennaio farà capire le vere intenzioni della società per riorganizzare, per puntellare la squadra, e per provare a risalire, perché così si sprofonda, e già il prossimo venerdì 20 dicembre in casa bisogna cercare riscatto contro il Brescia. Va bene l’Amarcord, ma non si può vivere di quello, va salvato il presente e progettato sul serio il prossimo futuro, senza più indugi, e se possibile senza “uomini di mondo”.

 

 

Miglior attore: Lorenzo Amatucci

Villain: Gian Marco Ferrari

Regia: Aniello Aliberti

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