La storia delle rivoluzioni insegna che l’individualismo può produrre idee stimolanti o illuminanti, ma solo col collettivismo si possono realizzare determinate imprese. Il ‘900 è stato il secolo degli anti-eroi, ma anche delle comunità.
Termini come comunità e collettivismo sono i pilastri del cinema dei formalisti russi, ossia dei padri del montaggio, del cinema come narrazione totalizzante ed eterna. C’è da dire che su questo sperimentano in parte anche gli americani, perché figure come D.W. Griffith sono pioneristiche in quegli anni.
I russi infatti decidono di essere – come da tradizione successiva – l’antitesi del cinema d’oltreoceano, basato sull’individualismo e sul plot. Essi invece, mirano alla rappresentazione della massa e degli idealismi. Uno dei maestri russi di quell’epoca (quando il cinematografo diventa ufficialmente cinema) è Sergej Michajlovič Ėjzenštejn. Nome complicato sia da scrivere, sia da pronunciare, ma indimenticabile per gli studiosi della settima arte. Addirittura un suo film è citato da Fantozzi in una delle celebri commedie, quando La corazzata Potëmkin viene definita: “una cagata pazzesca”.
Nell’anno antecedente a tale film, il maestro russo realizza il primo lungometraggio, Sciopero! (1924). Qui il regista non solo fa esordire il cosiddetto montaggio delle attrazioni (per motivi di censura, si associano le sequenze delle uccisioni dei manifestanti da parte delle forze dell’ordine con quelle di animali), ma esalta la lotta popolare, l’insurrezione dei lavoratori delle fabbriche, che si uniscono dopo la brutale morte di un collega. Tutto questo è il preludio alla rivoluzione d’ottobre, della quale Ėjzenštejn ne realizza un film dal titolo appunto Ottobre (1928).
“Sciopero!” come titolo, ma anche come slogan del weekend in casa Salernitana, sia da parte dei mezzi di informazione, sia in primis da parte della tifoseria organizzata. “Curva vuota? Questo vi siete meritati”. Telegrafico e pungente lo striscione apposto in curva sud Siberiano nei primi 15 minuti d’inizio in Salernitana – Carrarese, dove la tifoseria diserta gli spalti per poi entrare ed assistere alla partita, intonando cori contro la società e contro la mala gestione del club, solo per la maglia.
Proprio in quel momento si sblocca finalmente l’attaccante polacco Włodarczyk, il quale apre le danze al definitivo 4-1 della Salernitana, che finalmente con una reazione d’orgoglio riagguanta i tre punti che non si ottenevano – soprattutto tra le mura amiche – dal 27 agosto.
Prematuro parlare di nuovo rilancio, di cura Colantuono, meglio fermarsi ad orgoglio, a fiammata, a reazione emotiva ma anche tecnica, perché la squadra è messa bene in campo, è compatta, è più performante a livello atletico.
Certo la negatività rimane, perché non si doveva arrivare a tutto questo, non si doveva arrivare allo sciopero del tifo (seppur la compattezza della piazza nel momento negativo è affascinante, e non accadeva da tempo a Salerno), alla disaffezione, alla mancanza di biglietti venduti, al dato stagionale sul botteghino più basso. Non si doveva arrivare a quelle zone di classifica in serie B, e non ci si deve ritornare, soprattutto dopo l’annata scorsa, quella del disonore.
Troppo poco la Carrarese in questa sfida (che pure aveva battuto il Pisa), tranne qualche ripartenza pericolosa ed il gol che nasce dal solito errore difensivo dei granata, la compagine toscana è poco sul pezzo.
Che sia la partita della ripresa, della svolta, dell’inizio di un capitolo positivista lo si noterà in gran parte già dalla prossima trasferta di Modena, in programma sabato 7 dicembre alle 15:00. Che lo “Sciopero!” di massa non sia l’anticipo di uno scontro totale e irreversibile, di una rivoluzione come nel film di Ėjzenštejn, ma un atto che faccia realmente riflettere la proprietà ai fini di un cambio di rotta, verso il rilancio o verso la vendita. L’importante è imboccare con raziocinio una strada lineare, così da interrompere la già citata stasi che affligge la piazza. Gennaio è alle porte, attenzione ai ricorsi storici.
Miglior attore: Lorenzo Amatucci
Villain: Gian Marco Ferrari
Regia: Danilo Iervolino
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