Rumore Bianco, l’ultima opera di Napoli, gira l’Italia e continua a far parlare di sé
Immaginate la mente di un uomo disturbato prendere forma sulla scena, trasformandosi in un’oscura e magnetica finestra sull’animo umano. Lo spettacolo si apre con un elemento familiare e inquietante: il fruscio di una vecchia televisione e il rumore bianco che ne accompagna le trasmissioni fuori sintonia. La voce del telegiornale interrompe l’atmosfera: è stata ritrovata l’ennesima vittima di un serial killer, una donna transgender. Il pubblico è così catapultato nella tensione di un racconto che si muove tra attualità, tragedia e psiche, ma ben presto si accorge che il cuore della storia non è la vittima, bensì l’assassino.
Il protagonista è un uomo tormentato, un serial killer che non solo racconta, ma rivive e reinterpreta la sua violenza, costringendo lo spettatore a seguirlo nei meandri della sua mente. Con lui, sulla scena, c’è una figura enigmatica: sua madre, un personaggio che appare come un’ombra parziale, relegata ai margini della scena ma centrale nel racconto. Ha rapito questa donna per costringerla ad ascoltare ciò che non ha mai voluto sapere: la storia di Rossella, la prima delle sue vittime. Rossella era una donna transgender che lui amava profondamente, ma che la famiglia gli ha obbligato a distruggere per salvaguardare le apparenze e “non far parlare la gente”. Attraverso un monologo intenso, frammentato e a tratti delirante, il protagonista dà vita non solo alla sua confessione, ma anche al mondo di Rossella, raccontando i dettagli della sua esistenza e della loro tragica relazione.
Il testo mescola crudo realismo e ironia spiazzante, portando il pubblico a ridere amaramente e, un attimo dopo, a provare un senso di soffocamento di fronte alla brutalità della storia. La narrazione si snoda come un flusso di coscienza che alterna ricordi distorti, episodi di violenza, momenti di sarcasmo e riflessioni profonde sull’identità, la repressione e la crudeltà umana. Non è solo la storia di un assassino, ma quella di un uomo distrutto dai propri traumi, spinto alla violenza da un passato di abusi, fanatismo religioso e una società incapace di accettare il diverso.
Lo spettatore si ritrova così coinvolto in una trama che ribalta continuamente il confine tra vittima e carnefice. Il protagonista, pur essendo un serial killer, rivela un’umanità dolorosa, portando il pubblico a provare empatia per lui, senza mai giustificarlo. Nel corso della rappresentazione, Rossella e i suoi ricordi diventano il vero centro emotivo: attraverso i racconti del killer, prendono vita sulla scena frammenti della sua vita, dei suoi sogni e delle sue lotte. La presenza di Rossella diventa così una sorta di specchio per il pubblico, che si confronta con il tema della libertà individuale e del peso dei condizionamenti sociali.
La regia è essenziale e spiazzante, con una scenografia minimalista che amplifica il senso di disorientamento. Tra oggetti che fluttuano, lampi di luce improvvisi e frammenti di vita evocati con potenza visiva, lo spettatore è condotto in un’esperienza teatrale che rompe le convenzioni tradizionali.
Il risultato è un’opera che affronta con forza temi come l’omofobia, la transfobia, il fanatismo religioso e il bisogno di accettazione. Al tempo stesso, “Rumore Bianco” non si limita alla denuncia, ma scava a fondo nei sentimenti più complessi: il senso di colpa, la nostalgia, il bisogno di riscatto e il desiderio di libertà. Alla fine, ciò che resta è un potente interrogativo sul senso della nostra identità e sul diritto di ogni persona di vivere senza compromessi o condizionamenti esterni. Perché, come ci ricorda lo spettacolo nel suo epilogo, quel che resta di ogni vita non è altro che un fruscio, un rumore bianco che si perde nel vuoto cosmico.
- Marco Di Pinto e BeComedy
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