Niente di nuovo sul fronte occidentale: Sassuolo – Salernitana

Editoriale

Novembre 25, 2024

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La Salernitana perde ancora, niente di nuovo, in un campo che spesso è stato una croce più che una delizia. Al Mapei Stadium di Reggio Emilia, lo scorso anno la Salernitana di Pippo Inzaghi ebbe una fiammata, facendosi rimontare da una vittoria ormai certa (con uno dei pochi lampi stagionali del dissidente Dia) apparendo però viva e vegeta, ma era soltanto un’illusione. Nell’ottobre del 2022, la debacle per 5-0 cominciò a far tramontare l’era di Davide Nicola, dopo la storica salvezza.

Questa volta ci è mancato poco, la Salernitana perde amaramente 4-0, ma il dato ulteriormente negativo è che il passivo poteva essere più ampio. Troppo poco la razionalità e la conoscenza della piazza di Stefano Colantuono (oltre a buoni venti minuti nel secondo tempo) per risollevare il team, che ora paga non soltanto deficit tecnico-tattici, ma anche mentali. L’entusiasmo, il divertimento, il gioco spumeggiante, il cuore oltre l’ostacolo, l’outsider del campionato, tutto sembra così lontano, anzi ora aleggia in città la paranoia per la C, per il ricorso storico attraverso il citazionismo del caso Benevento, e scatta ancor di più la nevrosi verso una società difficile da decifrare.

Nell’etimologia greca la stasi si riferisce al termine radice, al verbo rimanere. Per la Salernitana è più collegato al significato modernista, ossia a rallentamento ed interruzione. Tutto sembra fermo: il progetto triennale, la vendita della società, il vero ruolo della Gabetti Sport e di figure come Busso, la crescita tecnica e tattica della squadra. Tutto fermo anche il rapporto tra Milan e Petrachi, che suscita nella piazza l’ennesima paranoia sui dissidi interni, da placare subito, perché anche quelli hanno fatto perdere la massima serie. Errare è umano, perseverare è diabolico.

Niente di nuovo sul fronte occidentale, titolo di un ottimo war movie targato Netflix, molto apprezzato nel 2022, collegato letteralmente ma anche semanticamente alla Salernitana. Anche lì ritorna la stasi, perché la prima guerra mondiale è la guerra proprio della stasi, della trincea, di tattiche militari e di congegni bellici che hanno portato ad una durata eccessiva del conflitto, causando milioni di morti innocenti e invano. Il film si mette dal punto di vista – poco utilizzato nella storia del cinema – della nazione-villain del ‘900, ossia la Germania.

Il forte patriottismo dei giovani tedeschi, vogliosi di aiutare la patria a raggiungere la gloria, viene del tutto spezzata dalla realtà cruda della guerra, dall’assunto homo homini lupus che rompe ogni ideologia, qualsiasi valore. L’opera ha la capacità di coinvolgere e immergere lo spettatore nel viaggio dell’eroe, che non è epico o mitico,  altresì è un cammino desolato verso la morte, o almeno verso la lotta alla sopravvivenza. La banalità della guerra ed allo stesso tempo del male.

Giovani che vengono catapultati nell’oblio, così come sta accadendo a Colantuono, uomo della società come egli si definisce, alla quarta esperienza sulla panchina granata, per salvare il salvabile, per far uscire il meglio da un gruppo che anelava altri obiettivi. Il tempo dei sogni, degli ideali è finito, ora c’è la lotta per la sopravvivenza come per i soldati tedeschi nel film di Edward Berger. Lotta per la sopravvivenza emotiva invece per la piazza, troppo ferita, troppo scettica, umorale, stanca delle sconfitte e della stasi.

Stanca degli errori tattici e dei singoli, in quest’ultima partita soprattutto di Fiorillo e Ferrari. Stanca dell’inconsistenza in attacco e del modesto atletismo di tutta la compagine. Stanca di vedere che si vive di fiammate, le uniche sono quelle di Verde, Amatucci e Reine-Adélaïde, al momento solo loro sembrano ancora sul pezzo. Ad uomini del genere Colantuono si affiderà, per uscire dalla trincea.

Niente di nuovo sul fronte occidentale. Si spera e ci si dispera, si aspetta, chissà cosa, una scossa, un cambiamento o una nuova rotta. Nel frattempo il tempo passa, le battaglie si perdono, si rischia l’impensabile, il baratro. Troppi errori in ripetizione e ambigue gestioni anche quest’anno, come se fosse un fenomeno ciclico. Niente di nuovo, nemmeno per la storia recente del club.

 

Miglior attore: Daniele Verde

Villain: Gian Marco Ferrari

Regia: Stefano Colantuono

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