Si chiamava Mathilde

Editoriale

Novembre 22, 2024

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Uno sguardo oltre l’apparenza

Yannick Roch, francese di nascita (1983) e italiano d’adozione da oramai 10 anni, appassionato da sempre di lettura, di scrittura e di viaggi, ma anche di giochi e fumetti, si dedica alle sue passioni, cura un blog online incentrato sui suoi interessi, insegna la lingua francese e lavora come traduttore.

Il suo nuovo romanzo, che segue il precedente lavoro di successo: “Il maestro dei Morti”, edito da Les Flâneurs Edizioni, è un giallo ambientato in Francia, dalle piacevoli note retrò.

La vicenda è incentrata su di una talentuosa e giovane pianista, Mathilde Levannier, che alla vigilia di un importante concerto scompare nel nulla senza lasciare alcuna traccia. Una donna misteriosa cercherà l’aiuto di due detective, alquanto sopra le righe, dello studio di Renard e Tortue. Per il lettore è facile immaginarli vestiti di tutto punto, completamente immersi nelle atmosfere parigine del 1934.

Le indagini toccheranno tutti i componenti della vita della ragazza, facendo risaltare alcune reazioni a causa della loro inadeguatezza; a tal proposito seguite il pensiero che accompagna le azioni del padre della nostra fanciulla e del, quanto meno discutibile, collega violinista, con il quale Mathilde condivide la scena artistica non senza notevoli sforzi.

Inizialmente ci si sorprende nell’apprendere che l’esistenza di Mathilde ruoti esclusivamente intorno alla musica classica, unico amore … il suo pianoforte … che custodisce i suoi segreti ancor meglio di un amico vero. La nostra protagonista non ha amici e non ha una vita sociale; solo una ragazza sembra incrociare i suoi passi, ma solo per muovere delle critiche e rimproverarla aspramente, accusandola di non impegnarsi abbastanza per raggiungere l’eccellenza alla quale è destinata.

Una caratteristica decisamente piacevole è l’assenza della tecnologia, nessuna prova forense, nessun test del DNA, solo reti neurali che si mettono in moto fino alla rivelazione finale.

L’intreccio della vicenda è fruibile in poco tempo, nota non disprezzabile in questo mondo frenetico, lo sviluppo della storia è veloce e snello, si segue con facilità e il linguaggio utilizzato è piacevole ed accurato. L’uso sapiente di metafore appropriate, aiutano l’immaginazione a muoversi tra gli snodi che via via si presentano.

Le atmosfere che avvolgono i diversi personaggi, catapultano il lettore in un’epoca lontana, dove anche il linguaggio lascia trasparire il rispetto che le persone si dimostravano nei tempi addietro.

Aspetto, come già accennato, molto gradevole, è la capacità deduttiva dei due detective privati, i quali con professionalità, un po’ di audacia e, a volte, un pizzico di incauta saggezza, percorrono i fili della vicenda, coadiuvati dall’aiuto di un ispettore che non brilla per perspicacia.

Saranno proprio loro, Renard e Tortue, spinti da un’insaziabile curiosità e amore per l’ambiguo e per le situazioni fuori dal comune, a dipingere, volto dopo volto, tutti i protagonisti della storia: Mathilde, la Fatina dalle dita d’avorio, presenza evanescente che vive tra le onde di uno spartito musicale incurante di cosa le accada intorno; Angèle, angelo custode discreto di Mathilde; Mireille, irascibile e scorbutica; il Signor Levannier, preoccupato più per le sorti del concerto che per quelle della figlia; Bastien, collega musicista libertino e infine la tata, figura materna che colora l’aura di Mathilde di amore.

Unica nota lievemente stonata è il finale, forse palesato troppo presto, che perde pertanto di efficacia.

Lasciatevi pertanto avvolgere dalla nebbia parigina e dalle luci soffuse dei pochi lampioni accesi lungo le strade della capitale, chissà che non capiti anche a voi di imbattervi in un mistero di altri tempi.

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