Come divulgare la storia in chiave moderna e affascinante
Origini amalfitane, penna elegante e amante della storia: Carmine Mari è l’autore de “L’Alfiere d’Oriente” (Il Piroscafo Edizioni), romanzo storico incentrato sulla vita di personaggi davvero affascinanti, quali Riccardo da Salerno, il Guiscardo, Papa Gregorio, nonché una molteplicità di donne forti come Sichelgaita, Lutgarda, Trotula e Gisla. La vicenda si svolge a Salerno, nel 1084, meraviglioso teatro della disputa politica tra Normanni e Longobardi, di cui non priviamo il lettre del piacere della scoperta. A raccontarci di curiosità e retroscena, invece, è propro l’autore.
Con la sua opera è riuscito a divulgare un avvenimento storico poco conosciuto, in una maniera che fosse più fruibile da parte del lettore, era questa la sua intenzione o è un valore aggiunto?
Di sicuro volevo un romanzo che coniugasse il rigore storico con l’invenzione narrativa. Mettere in piedi un testo accessibile al maggior numero di lettori e soprattutto, che tenesse unita l’avventura, l’intrigo politico e le vicende umane dei personaggi con la Storia. La proposta di alleanza tra i normanni e il partito anti imperatore mi sembrava un fatto possibile, considerati i precedenti rapporti tra Il Guiscardo e la corte di Bisanzio.
La scrittura, almeno per me, deve essere divertimento, suscitare interesse per ciò che scrivo. Potrebbe sembrare un paradosso, cioè interessarsi ad argomenti che uno già possiede, ma in fin dei conti il processo creativo non pare altro che un’esplorazione delle possibilità, un modo per scoprire nuovi varchi.
Il suo testo offre una certa ricchezza nel linguaggio attraverso l’uso di parole a dir poco desuete. Come ha scongiurato il rischio di scoraggiare il lettore, considerando oltretutto la presenza di nomi piuttosto difficili dei personaggi?
Partire innanzitutto dai personaggi e dalla loro vita. Le parole, facili o difficili, usate o desuete appariranno nella loro luce, se usate nel contesto appropriato. Scrivere un romanzo è di fatto una continua ricerca di equilibrio, un po’ come le erbe aromatiche e le spezie che si usano in cucina.
I nomi, a mio modesto avviso, hanno un ruolo primario; alcuni sono particolarmente evocativi e aiutano il lettore a costruirsi l’immagine del personaggio stesso. Devo ammettere che la scelta è stata complicata, in virtù del fatto che la storia vede come protagonisti longobardi, normanni, comprimari ebrei, latini e greco-bizantini, insomma una Babele dalla quale non potevo scappare.
Alla fine del libro ha inserito una sorta di resoconto che getta un ponte tra realtà e romanzo. Ci illustri le motivazioni della sua scelta e come ha evitato di essere didascalico pur rispondendo all’esigenza di offrire al lettore un amo per la comprensione del percorso storico-narrativo.
In questo aiuta molto l’esperienza e la tecnica. Per esempio, nel descrivere la cattedrale in costruzione ho messo di fronte un orgoglioso Guiscardo, fiero della sua opera e un umile architetto, intimorito dalla sua presenza e dal suo giudizio circa i lavori in corso. È venuto fuori un dialogo divertente dove l’aspetto didascalico passa in secondo piano. Altrimenti avrei scritto un saggio di storia dell’arte, con inevitabili effetti soporiferi.
Già di per sé il periodo era ostico da raccontare rispetto alla trama che avevo in mente, così è stato necessario tagliare e riscrivere interi capitoli, senza perdere nulla di importante. Tenersi ancorato alla trama e far procedere la storia ha contribuito a mantenere alta la tensione e così, molti aspetti sono rimasti sullo sfondo.
Per quanto riguarda la genesi, il romanzo è costruito attorno al buco nero nella vita del personaggio principale: Riccardo da Salerno. Sappiamo poco della sua gioventù, così ho avuto mano libera nel costruire la trama. Riccardo, come tutti i normanni, era ardimentoso e spregiudicato, uomo d’azione che diventerà in seguito reggente del principato di Antiochia. Inoltre volevo esplorare le ambizioni del Guiscardo: perché si è gettato nell’impresa di arrivare a Costantinopoli?
Quali sono gli interessi e le curiosità che l’hanno portata ad analizzare questo periodo storico con tanta dovizia di particolari?
Innanzitutto l’amore verso Salerno che nell’XI secolo era protagonista nei campi della scienza, della cultura e della politica. Donne come Trotula de Ruggiero e Sichelgaita, uomini come il Guiscardo e il papa Gregorio VII sembravano volessero dirmi: eccoci qua, dov’è la tua storia? Gli ingredienti c’erano tutti, la scuola medica salernitana, la lotta per la legittimazione del potere, il Mediterraneo e l’Oriente all’orizzonte. Salerno non è mai stata tanto capitale come quel periodo, il più fulgido. Dopo, sì, ha conservato un ruolo importante, ma non come quello svolto durante la prima dominazione normanna.
All’interno del romanzo compare una lunga serie di personaggi, qual è quello a lei più caro e che sente di aver meglio caratterizzato?
La mia preferenza va alle donne, che emergono in maniera più reale dei personaggi maschili. Apparentemente fragili, spesso in ombra, ma decisive all’interno del romanzo, sono donne del loro tempo, complesse e sfaccettate; Lutgarda, madre severa e tormentata dal proprio passato, Sichelgaita, cinica e spietata quando si tratta del potere, Gisla, la Fenicia aggrappata alla vita con tutte le sue forze, Tassia, l’amore e la speranza, e infine Trotula, quella saggia e leggendaria che sembra racchiuderle tutte.
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