La crisi della cinematografia italiana

Editoriale

Novembre 17, 2024

Tax credit, autorialità ed immaginario. Da più di un decennio il cinema nazionale è caratterizzato da norme ambigue e poca creatività

La storia del cinema italiano è una storia grande. Essa è specchio di quella dell’intera settima arte dai primordi. Filoteo Alberini seguiva le orme dell’invenzione dei Lumière nel 1895, e praticamente in contemporanea sperimentava il nuovo mezzo – ai tempi definito cinematografo – inserendo la storia ed il teatro (in quegli anni si scriveva anche di un teatro animato, per descrivere l’immagine-movimento), oltre che elementi letterari, lirici o presi dalla realtà. Proprio “il cinema del reale” si era diffuso nella penisola già dalla nascita dell’arte sintetica. Si inquadrava la società, nello specifico i contesti popolari, gli usi ed i costumi delle classi meno agiate.

Tra gli altri, il cinema del reale – associato poi al documentario –  aveva reso il cinematografo arte per la massa, iniziando quel processo che lo evolverà in cinema, completato in seguito dalle svariate invenzioni/evoluzioni tecnico-narrative. Poi il genere storico italiano, perché l’ambientazione di origine greco-romana aiutava la produzione di kolossal, che gli americani anelavano, e che hanno poi effettivamente realizzato, con risultati il più delle volte modesti.

Gli italiani invece, sono anche grandi emulatori, perché un certo Sergio Leone (insieme ad altri) è riuscito a ridefinire la concezione del western – oltre che a dargli ulteriore risalto -, un genere di puro stampo americano, o comunque per registi d’oltreoceano. Ancora, non ci si stancherà mai di citare il neorealismo, tra le correnti più imponenti della cultura mondiale, che ha salvato il cinema stesso dalle vicissitudini dovute al secondo dopoguerra. Infine, il cinema dei telefoni bianchi, la commedia, la fase autoriale dagli Anni ’60 ed i film di propaganda. La storiografia sul cinema italiano è mastodontica, impossibile da riassumere brevemente.

E ora? Anche in questo caso il cinema italiano si associa alla condizione di quello contemporaneo – sia nella fase pre che post pandemica -, caratterizzata da un caos di produzione, di mercato e di creatività che non danno costanza qualitativa e quantitativa al cinema, soprattutto a quello formato sala. Certo il cinema oggi è trasversale nella fruizione, lo si può guardare sia sul grande schermo del multisala, sia sul proprio smartphone; eppure, va chiarito che nel formato casalingo o comunque privato, la quantità di film non arriva al numero di serie tv consumate attraverso l’ormai trend – vigente sulle piattaforme on demand e via cavo – del binge watching.

Tornando al caso meramente italiano, sono tre i macro-temi che fuoriescono tra le riflessioni dell’opinione pubblica, dei giornali, della critica, della politica, oltre che frutto di tale editoriale, per provare a indicare delle nozioni sulle quali soffermarsi, perché bisogna imboccare una strada precisa per risollevare – seppur in forme rinnovate e pop – il cinema nazionale.

1 Il tax credit. Il credito di imposta nasce come sovvenzione governativa, per incentivare e aumentare numericamente parlando – oltre che qualitativamente – la produzione (anche) di opere cinematografiche di stampo nazionale, in alcuni casi anche di quelle con la partecipazione di fondi esteri, i quali devono rispettare determinati parametri, che mantengano la matrice italiana del prodotto. Lo stato arriva a coprire fino al 40% dei costi di produzione. Teoricamente sarebbe un aiuto enorme, ma la burocrazia e i commi nel pratico incartano tutta la macchina procedurale. A tal punto, si sono scatenate polemiche – già prima delle dimissioni del ministro Sangiuliano, sostituito da Giuli per i noti fatti di gossip – soprattutto da parte delle piccole e medio imprese, perché il tax credit chiede (anche se ora è in atto un evoluzione della legge che potrebbe mutare lo scenario) il rispetto di precisi e contorti paletti, sia economici, sia strutturali, che paradossalmente per molti addetti ai lavori risultano sostenibili soltanto per le case già affermate.

Pure un neofita in termini di materia economica, capirebbe che una sovvenzione, la quale indirettamente o non volutamente sostiene i più ricchi, è una procedura che non aiuta il cinema a rendersi competitivo, eterogeneo e sviluppato, anzi lo rende ancor di più una nicchia, rompendo così la produttività. Dal suo canto, il governo ha recentemente dichiarato che il sistema è stato hackerato, e che sono sotto-screening circa 170 pellicole, che hanno usufruito di milioni di tax credit, seppur guadagnando piccole somme in termini di box office. La questione è tutt’altro che chiusa, e negli ultimi due anni ha condizionato in un modo o nell’altro il cinema nostrano.

2 L’autorialità. Che manchino grandi talenti sulla regia, sulla sceneggiatura è risaputo, se ne parla già da anni. Tuttavia, i grandi autori degli Anni ’60 e ’70 non sono stati sostituiti da nomi modesti, anzi i vari Sorrentino, Salvatores, Muccino, Garrone, Tornatore, Guadagnino, Moretti e altri sono firme apprezzate a livello mondiale (alcuni lavorano con case estere). Essi portano avanti un certo tipo di cinema, una specifica tipologia di prodotti, ognuno dal peculiare stile, rendendo altamente qualitativo il cinema italiano. Il problema è la quantità, perché tali film sono frame, anche quelli di talenti più giovani come Gabriele Mainetti, Sidney Sibilia, i Manetti Bros., i fratelli D’Innocenzo ed altri, i quali si dedicano anche a progetti seriali (va aggiunto che hanno avuto il coraggio di riprendere il film di genere), perché dà a loro ampio raggio e respiro. Il 2023 è stato l’anno delle donne, dall’esordio di Paola Cortellesi fino al ritorno in grande stile di Alice Rohrwacher, ma ancora non si sa se il parterre femminile continuerà con costanza o saranno anch’esse delle fiammate. Per il resto è crisi totale, con un quantitativo di commedie, di generi abbozzati e di disturbante demenzialità che oramai fanno fatica ad attirare anche quel pubblico medio, amante dell’intrattenimento e non della pellicola “impegnata”.

3 L’Immaginario. Se ci sono criticità in termini autoriali – almeno sulla quantità di autori di spessore – e sui vari generi, di conseguenza c’è un problema di immaginario. L’immaginario è come direbbe chi mastica di economia e di project management dare una vision ed una mission ad una determinata cinematografia. Il primo cinema italiano l’aveva, attraverso la visione documentaristica del reale; il neorealismo anche, attraverso canoni, drammi e storie che mirassero a coinvolgere il pubblico dilaniato dalla guerra; gli autori dagli Anni ’60 pure, con la volontà di distaccarsi proprio dal neorealismo, ai fini di un cinema umanamente riflessivo o di denuncia sociale. Il cinema italiano contemporaneo manca di una visione sul presente, e questo già letteralmente è una contraddizione. Si ha bisogno di un planning, di una poetica da rincorrere non a singhiozzo, bensì con raziocinio. Se il 2023 è stato l’anno delle donne, del film sociale o di denuncia culturale, il 2024 è invece l’anno del film storico, caratterizzato solo come ultimo esempio dal Vermiglio di Maura Delpero (scelto per la rincorsa all’Oscar come miglior film internazionale). Il cinema italiano ultimamente volge lo sguardo al passato, al contesto bellico o rurale ma pur sempre al passato, oltretutto senza avere grandi mezzi economici per produrre un genere, che necessita di risorse per la mise en scene. L’incapacità di raccontare il presente – togliendo film da commedia familiare, da trend o politicanti – è palese, e salta all’occhio anche allo spettatore meno esperto. Quindi si ripiega sulla storia, sul quel che è stato, essa è l’unico appiglio dato che anche la commedia, che spesso ha salvato la cinematografia italiana, sembra vacillare. La storia è utile, è fondamentale, è d’ispirazione, ma non è sufficiente, bisogna costruire visioni sul presente e sul futuro, per l’appunto un immaginario come sottolinea la parola stessa, per tornare a essere grandi, grandi davvero.

Conclusioni. Tre temi, tre criticità, tre spine nel fianco. Una di natura legislativa, un’altra creativa, un’altra ancora produttivo-strutturale. Un trittico che è uno conseguenza dell’altro, che si intreccia e che hanno in comune varie sotto-categorie. Ci si trova di fronte ad un potente villain da sconfiggere, ma questa nazione – non solo in campo cinematografico – riesce sempre a fare di necessità-virtù, si spera anche in questa sfida culturale, forse la più grande di sempre.

 

 

 

 

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