De Tullio: il performer in grado di unire ogni tipo di arte

Editoriale

Novembre 17, 2024

Categorie

“Bisognerebbe indirizzare al teatro già dalle scuole. Questo insegnerebbe l’empatia.”

Giovanni De Tullio nasce a Bari il 3 settembre 1987. Fin da giovane mostra un talento innato per le arti performative, che lo porta a studiare presso istituzioni prestigiose come il London College of Music e la MTS – Musical The School. Nel 2004, entra nel mondo del breaking, adottando il nome di Bboy Giza. La sua dedizione e il suo talento lo portano a fondare la crew BEHIND ENEMY LINES nel 2010, con la quale ottiene numerosi riconoscimenti. Partecipa a eventi internazionali di rilievo, diventando finalista in competizioni come The Week, House Dance Europe, Freestyle Session Europe e R16 Europe. La sua abilità lo rende selezionatore per il Red Bull BC ONE Italia nel 2016 e 2017, e prepara il bboy KOI per il BREAKIN FOR GOLD a Essen, in Germania, nel 2015. Parallelamente alla sua carriera di bboy, sviluppa una solida carriera teatrale. Recita in produzioni come La Sirenetta: Il Musical (2023), Christmas Show (2022-2023), Il Figlio dell’Arte (2021), Pippin (2019) e Hair: Il Musical (2019). Partecipa a cortometraggi come Solitudine e Condanna (2023), Punto Cieco (2023) e Tribù Urbana (2022). Lavora anche in televisione, apparendo in programmi su Rai3 e TRL on Tour – MTV, e collabora con il rapper Mondo Marcio. Le sue abilità non si limitano alla danza e alla recitazione: è esperto in acrobatica e arti marziali, il che lo rende un performer estremamente versatile. Al momento, sta lavorando al completamento del suo primo libro e di un cortometraggio.

Lei ha fatto parte del mondo del breakin creando anche una sua compagnia. Com’è nato l’avvicinarsi a questo tipo di danza e quanto è significativa ancora oggi per lei?

Al mondo del breakin, parlo proprio a livello internazionale e non prettamente locale, non ho mai smesso di farne parte. Ho solo accantonato per un periodo di circa sei anni tutto ciò che ad esso era legato, per ampliare gli studi dopo essere entrato in accademia.
Per parlarti nello specifico di cosa sia il breakin servirebbe davvero troppo tempo. Ti posso solo dire che l’hip hop è una cultura davvero molto vasta e con diverse discipline al suo interno (una di queste appunto il breakin) e che mi ha dato la possibilità di conoscere diverse realtà di ogni parte del mondo, dalla Francia, alla Spagna, alla Polonia, all’America fino all’Asia. Tutto è nato più o meno alla stessa maniera, come per chiunque facente parte della mia generazione, dopo aver visto un ragazzo alle elementari rimanere in equilibrio sulla testa. Poi riuscii a conoscere in un parco altri ragazzi che volevano ballare, ma questo solo nel 2004. La prima crew venne creata proprio così, per amicizia. Tutti coetanei. Successivamente, maturando anche come ballerino, ho fondato la mia attuale crew per poi crearne un’altra parallelamente ma di stile misto.
Il breakin non è solo significativo, è ovunque. Quando lo apprendi e ne capisci l’essenza te ne rendi conto. Il condividere qualcosa con qualcuno, empiricamente, fisicamente e culturalmente. Accettare ed apprezzare la diversità ed esserne curiosi. Voler mettersi in competizione (sana) con qualcuno più esperto di te da cui puoi solo imparare e quindi sentirsi sempre allievo e mai maestro. E questo lo si vede anche in come trattiamo le persone.

Quand’è che ha capito che, oltre al ballerino, desidera essere anche un attore?

Uno dei miei bboy preferiti di sempre è Daniel Campos (bboy Cloud). Lui, partendo dal breakin, è riuscito ad andare oltre con il suo percorso, arrivando a produrre un cortometraggio con l’attore Danny De Vito, è stato presente in un video di Shakira, in diversi film, ecc. L’idea del solo breakin quindi iniziava a starmi stretta perché non riuscivo ad esprimermi come davvero volevo, per via anche di una ricerca di un mio stile che ancora non era completa (e forse non lo sarà mai perché non si smette mai di aggiungere tasselli).
Mi capitò anche tra le mani un album di foto di recite scolastiche dove spesso e volentieri mi facevano fare il protagonista e di cui ne avevo perso memoria. Probabilmente questa cosa da sempre sopita, andava anzi coltivata e lasciata crescere. Quindi ho deciso di provare a fare lo stesso percorso, e questo mi ha portato poi a cercarmi un’accademia.

Cosa significa secondo lei essere performer oggi, ma soprattutto esserlo in un paese come l’Italia?

Sicuramente ha le sue difficoltà, dovuto anche al periodo storico che stiamo vivendo. Siamo in tantissimi adesso e quindi è sempre più difficile essere scelti ad un casting o ad un’audizione. Devi davvero convincere tra tanti, avere quel qualcosa in più (e anche una gran bella dose di fortuna). Però il momento arriva se si sa aspettare, e se nel frattempo si continua ad essere produttivi. L’attesa fa parte del percorso, ti insegna essa stessa tante cose.

Piccola indiscrezione senza spoiler, ma di cosa tratta il suo primo romanzo e soprattutto quando è nata la voglia di scriverlo?

L’idea è nata alla fine dell’estate 2023. Mentre riordinavo delle idee e volevo scrivere qualcosa, una sceneggiatura precisamente. Però una volta scritto il soggetto mi ero reso conto che non poteva prendere vita, dato i miei pochi mezzi a disposizione. Per questo ho provato a riscrivere il tutto sotto forma di romanzo.
L’ho intitolato “Il coraggio d’essere soli”.
È ambientato in un paesino sul mare, una sorta di moderno villaggio di pescatori, anche perché da buon pugliese volevo ambientarlo in un posto a me familiare. Il racconto parla delle persone, del coraggio, della paura, del voler o no stare soli, di come affrontiamo la vita e le scelte e delle conseguenze. Ogni personaggio di questa storia ha la sua luce e il suo lato oscuro. Chi si sta occupando delle correzioni mi ha dato dei bei feedback quindi speriamo bene. Sarà disponibile su Amazon da Dicembre.
Uno spoiler però te lo concedo. Mi hanno ispirato molto i film di Lina Wertmüller.

Ultima domanda: quanto cambia l’arte performativa all’estero rispetto all’Italia?

Beh, c’è una grande differenza. In Italia bisognerebbe indirizzare al teatro già dalle scuole, cosa che in altri paesi già fanno. Questo insegnerebbe l’empatia, mettersi nei panni dell’altro. Questa cosa c’è anche nella danza ma con la recitazione è molto più accessibile. Anche i budget delle produzioni italiane sono molto più bassi rispetto alle produzioni estere. Poi ci sono paesi, come ad esempio la Francia, dove gli artisti sono sovvenzionati. Anche durante il periodo Covid loro percepivano un minimo dallo stato perché non lavoravano. In Corea del Sud il breakin è l’equivalente del calcio in Italia. Hanno gli album di figurine dei bboy, fisioterapisti che li seguono, accademie intere proprio perché lì è visto come disciplina nazionale e tanto, tanto altro.

Navigazione EditorialeL’ultima tappa della mostra The World of Tim Burton >>

Autore

Questa voce fa parte 1 di 58 nell'editoriale Il Novelliere 16

0 commenti

Invia un commento

Scopri di più da Il Novelliere

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continue reading