La regola del gioco: La recensione di Cosenza – Salernitana

Editoriale

Novembre 4, 2024

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Ogni gioco ha le sue regole. Il calcio è un sport eterogeneo, per i giocatori in campo ci sono dei compiti ben precisi (col VAR per gli arbitri pare sia aumentata paradossalmente la sfera soggettiva) ai fini dello svolgimento della partita. Gli addetti ai lavori, dagli allenatori fino ai dirigenti, hanno bisogno di programmi razionali, di progettare, di organizzare il lavoro, secondo intuizioni, ponderazioni e rispettiva professionalità.

Tuttavia, allo stesso tempo ogni componente è condizionata direttamente da una palla rotonda e dai risultati, quindi dal fato, dal caso, dalla dea bendata. Ciò crea un intreccio costante tra la materia e l’astratto.

Gioco e regola, regola e gioco, la regola del gioco. Quest’ultimo termine è anche il titolo di uno dei film più epocali della storia del cinema, diretto da un maestro che fa da ponte tra l’era classica a quella primo-modernista, Jean Renoir (figlio del celebre pittore).

La pellicola – datata 1939 – non si riferisce ai dogmi dei giochi sportivi, tutt’altro, ma drammatizza secondo un congegno le relazioni sentimentali, i rapporti interpersonali, la raffigurazione di precise classi sociali, assimilandole a delle regole – non scritte -, ossia situazioni che sono consuetudini della vita, dell’esistenza, della civiltà contemporanea al film. Tutto questo diviene come una regola del gioco, anche qui frutto di un intreccio tra destino e spietata organizzazione degli eventi.

All’interno di una tenuta aristocratica, lo sfarzo e l’ipocrisia della classe d’élite vengono enfatizzate con astuzia e senza filtro dall’autore, attraverso (anche) l’inserimento del teatro nelle sequenze, collegato direttamente alle situazioni di vita. l’arte riflette la vita e viceversa, come se tra le due non ci fossero confini. Un personaggio tra tutti è vittima della regola, succube degli incastri, del fato nefasto, delle logiche e delle gelosie dell’essere umano. In ogni gioco ci sono vincitori e vinti, strateghi e falliti, fortunati e sfortunati.

È tutta questa serie di cose anche la Salernitana nel campionato di serie B. La regola del gioco impone che il mercato giusto, i giocatori adatti, la programmazione oculata e gli investimenti adeguati alla lunga portino un club alla vittoria. Alla Salernitana nell’ultima sessione estiva pre-season alcune tra queste sono mancate, oltretutto ammesse a priori dai diretti interessati. D’altronde, nel calcio come nella vita, la fortuna e il destino fanno la loro indiretta parte (Chi disse preferisco avere fortuna che talento percepì l’essenza della vita, frase iconica in Match Point di Woody Allen), perché in sintesi – come anticipato – si è schiavi della direzione che prenderà quella dannata palla.

Sul terreno di gioco nella trasferta di Cosenza – che chiude il trittico di gare ravvicinate – la palla va due volte in rete, finisce 1 – 1, un altro pareggio dal sapore amarognolo per i granata, che non riescono a tornare alla vittoria. Non riescono per i soliti problemi degli ultimi tempi: si fa una fatica tremenda a tirare in porta, quindi a segnare; si subisce quasi sempre gol, spesso per disattenzioni o per errori dello spartito tattico; la disposizione di alcuni calciatori è ambigua o poco funzionale per le proprie caratteristiche.

Ora ci sarà il Bari in casa il 10 novembre, partita molto sentita soprattutto dalle tifoserie per il noto e storico gemellaggio. Chissà se sarà uno spartiacque decisivo in positivo o in negativo per il girone d’andata degli uomini di Martusciello, il quale resta in panchina non saldamente, perché le pressioni e le tensioni della piazza si scagliano senza mezze misure su di lui nel post-match.

Tra chi si divide per proiettarsi su una salvezza tranquilla e chi è insofferente e non accetta un campionato nella mediocrità, il tempo scorre e la Salernitana si ritrova dopo dodici giornate con tredici punti, frutto di tre vittorie, quattro pareggi e cinque sconfitte, con tredici gol all’attivo e sedici incassati. I più critici sintetizzerebbero con una vittoria nelle ultime nove partite di campionato, e non avrebbero nemmeno tutti i torti.

Dati non entusiasmanti, di poco appeal, ai limiti dell’insipido. Semplice ricostruzione o fallimento tecnico? Lunga evoluzione o inizio di involuzione? Riflesso del valore complessivo della squadra o uno specchio “bugiardo” come quello nell’inquadratura cinematografica?

Gli incastri spietati e fisiologici della regola del gioco nel brevissimo termine diranno che tipo di personaggio è la Salernitana. Il calcio avvolto dalle sue regole, e lo stesso assunto vale per le narrazioni, per il cinema e per la vita stessa.

 

Miglior attore: Daniele Verde

Villain: Ajdin Hrustic

Regia: Gianluca Petrachi

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