Burton rischia grosso ma ci regala un secondo capitolo degno dell’originale
Prima di Beetlejuice esisteva un Burton ancora solo allo stadio embrionale. Fu l’uscita nelle sale, nel 1988, dello “Spiritello Porcello” a presentarci il Tim Burton maturo che tutti conosciamo e a cui milioni di amanti del genere sono affezionati. Non sorprende, dunque, l’aria di tensione tra i fan che ha circondato la notizia dell’uscita nelle sale del sequel “Beetlejuice, Beetlejuice”, soprattutto se si pensa alla gestazione lunga 36 anni. Certamente un rischio per il regista rimettersi in gioco, dopo tanto tempo, con un secondo capitolo di un classico dell’intrattenimento tanto fondamentale per la sua carriera.
Nonostante le intrinseche difficoltà di un simile progetto, però, Burton e tutta la sua troupe sono riusciti a regalarci uno straordinario prodotto, degno successore dell’originale. Gli elementi per il ritorno perfetto ci sono tutti, senza peccare di un morboso attaccamento al passato per il solo gusto di giocare la carta della nostalgia. Burton sfida con successo l’ormai consolidata abitudine di un’industria cinematografica che troppo spesso fa affidamento all’eco di passati successi a gran discapito della creatività.
Il cast è corposo, con nuovi personaggi interpretati da nomi importanti quali Willem Dafoe, Danny DeVito, Monica Bellucci accanto a parte degli attori originali come lo straordinario Michael Keaton, nei panni del demone protagonista Beetlejuice, e Wynona Rider nei panni di Lydia Deetz. Torna anche Catherine O’Hara, la cui interpretazione di Delia Deetz sostiene da sola gran parte del ritmo comico del film. Merita speciale attenzione la performance di Jenna Ortega (Astrid Deetz), che agli inizi della sua carriera è già abilmente in grado di mostrarsi indipendente dal personaggio della serie Netflix “Wednesday” che l’ha portata alla fama, per dar vita ad un’interpretazione degna di nota. Senza dubbio una giovane promessa del cinema da tenere sott’occhio.
La sceneggiatura, affidata questa volta alla coppia Alfred Gough e Miles Millar, pecca forse di troppa ambizione, dato l’inconsueto numero di sottotrame che a tratti sembrano difficili da sostenere in maniera equilibrata. Molto divertenti le gag e le interruzioni musicali, anche se a volte eccessivamente lunghe, tanto da raffreddare l’effetto umoristico.
Qualsiasi amante di Burton, però, non potrà non riconoscerne e apprezzarne lo stile nelle ambientazioni e nella fotografia. Una presa in giro della morte che richiama i temi del primo film, anche se questa volta il film osa di più in quanto a scene cruente e macabre. Proporzioni distorte e contrasto tra colori vivaci e atmosfere fredde e cupe fanno da sfondo alla danza ritmata tra momenti comici e situazioni spaventose. Il tutto ottenuto quasi interamente con effetti visivi tradizionali, dalla stop-motion agli animatroni, e minimi effetti digitali, frutto della collaborazione tra numerosi esperti del settore, dalla Framestore agli effetti digitali a Mackinnon and Saunders per la stop-motion.
E come non menzionare il ritorno di Danny Elfman, che con le sue colonne sonore dell’universo burtoniano è stato la voce, sin dagli inizi.
Un sequel notevole, quindi, tra brividi e risate, in un’atmosfera che ricorda l’eco di una calliope che si diffonde tra gli angoli semibui di un Luna Park deserto.
Il bio-esorcista sembra essere davvero tornato, e in piena, macabra ed esilarante forma. Attenzione, quindi, a non pronunciarne il nome tre volte… Beetlejuice, Beetlejuice…
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