PANTHEØN BAND, BENVENUTI TRA GLI DEI DELL’HARD ROCK

Editoriale

Settembre 30, 2024

La formazione romana torna con un disco dal sapore vintage

Upswing è il titolo del secondo album dei Pantheon Band, che sarà pubblicato su Club Inferno Ent. . Veterani della scena hard rock romana, producono un album che riesce ad unire elementi progressive, arrangiamenti massicci, melodie guidate da organo e chitarra e voci intense. Ne abbiamo parlato con Tommy Conti (basso) Bruno Baudo (voce), Gilberto Gangiolino (chitarra). La formazione si completa con Marco e Mario Quagliozzi, rispettivamente tastierista e batterista.

Come mai ci avete messo 4 anni per tornare con “Upswing” il nuovo lavoro?

(T) “Abbiamo avuto tutti un periodo difficile dove non era possibile neanche incontrarci per fare le prove. Sto parlando chiaramente della “maledetta” pandemia. Alcuni brani avevano già una forma, ma con il cambio di line up, prima il cantante poi il chitarrista, sono stati stravolti e riarrangiati. Bisogna anche dire che c’è stata molta più cura ed attenzione ad ogni particolare: un lavoro molto meticoloso. Dobbiamo mettere in conto anche il cambio di etichetta: Club Inferno ent., di cui siamo veramente molto soddisfatti e dei tempi tecnici per l’operazione di uscita di un album. (B) Beh ci sono stati molti cambiamenti, in primis il singer. Io ho un modo di cantare e di comporre le melodie completamente diverso dal precedente e poi il ritorno del primo chitarrista Gilberto Giangolini, anche lui con un background di altro stampo rispetto a quello che aveva suonato su “Five Lines”.

Ascoltando i pezzi apripista, si sente l’influenza dei Deep Purple e di tutto il filone degli anni 70 – 80, anche se con un piglio moderno. Quali sono i gruppi che vi hanno maggiormente ispirato?

(B) “Sono moltissimi, diciamo tutto il filone hard rock inglese di un certo stampo che include tastiera e hammond; logicamente anche i grandi gruppi americani come Boston, Journey, Styx e Kansas, per quanto mi riguarda.

(G) I gruppi che più ci hanno ispirato appartengono a quel periodo, quindi Deep Purple, Eagles, Rainbow.

Quali invece i riferimenti per la stesura dei testi?

(B) “I testi sono ispirazioni del momento o della musica in se stessa, Sweet Lady Luck è un brano nato in un momento di sconforto sulla situazione lavorativa e non; parla proprio di questa Signora Fortuna che non ci dà mai una mano ma ci volta le spalle, ci gira intorno quasi a volerci prendere in giro; per My Old Whiskey Bottle invece sono stato ispirato dal blues del brano che ci fa immaginare un uomo di strada ormai stanco, che ripensando ai suoi passati amori si attacca alla sua vecchia bottiglia, parlandole e dicendole che ormai solo lei gli può dare il conforto necessario alla sua vita di stenti”.

State pianificando un tour o delle date live?

(B) “C’è una data il 4 ottobre a Locanda Blues a Roma, dove presenteremo il nuovo cd per intero e poi stiamo naturalmente cercando di trovare nuove date per proporre il nostro sound”.

La scena romana è stata sempre florida ma quanto è difficile per un gruppo come il vostro emergere in questo contesto?

(T) “Paradossalmente è più facile di tanti anni fa, nel senso che una volta potevi sperare di essere contattato direttamente da un talent scout o da un manager/promoter in un tuo live o addirittura nella tua sala prove; naturalmente dovevi essere bravo e in qualche modo la tua musica arrivava alle sue orecchie. Oggi queste figure non esistono più, ma esiste internet con tutte le possibilità che offre di connettere gli artisti al pubblico e agli addetti ai lavori. La difficoltà, eventualmente, è nel mainstream che ha preso una direzione troppo distante dal nostro genere musicale, anche se, la fetta di chi come noi ama e ascolta rock è ancora molto ampia e lo dimostrano proprio due degli strumenti più usati nella rete come Spotify e YouTube, dove già al primo singolo abbiamo raggiunto oltre 16.000 persone”.

(B) É molto dura visto che il fenomeno delle cover band è ormai imperante e chi fa, come noi, musica originale ha pochi spazi a disposizione, ma noi non demordiamo e andiamo avanti per la nostra strada”.

A proposito, molti criticano le cover e tribute band ma voi, in tal senso, avete avuto una intensa attività. Queste esperienze vi hanno dato qualcosa in più, sia dal vivo che in studio?

(T) “Personalmente, dopo 20 anni di tributi, non posso di certo essere critico, anzi, mi è anche piaciuto e mi è stato utilissimo per non perdere il contatto col pubblico, il palco e con gli addetti ai lavori. Il discorso è che la possibilità di fare live è passata quasi totalmente nelle mani dei gestori di locali che hanno bisogno sempre di fare numeri per portare avanti la propria attività e quindi devono far suonare quasi esclusivamente Tribute Band. È un fenomeno che dura da trent’anni e per fortuna in controtendenza, perché tutti si sono accorti che non c’era nessun apporto artistico e che oggi esistono moltissimi gruppi che sanno proporre la propria musica originale, sanno suonare e compongono bene.

(B) Anche noi abbiamo avuto, chi più gruppi e chi di meno, situazioni di cover e tribute band nel corso degli anni, ma abbiamo sempre e comunque portato avanti un discorso alternativo di musica originale, senza nulla togliere a chi preferisce andare in un’unica e sola direzione, ma credo che quando riesci a realizzare un prodotto, una canzone che è frutto delle tue idee, sia molto più appagante”.

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