La crisi della poesia italiana

Editoriale

Settembre 30, 2024

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Di chi è davvero la colpa?

Dove andrà la poesia contemporanea? Ci sono in Italia due grandi filoni: la poesia neolirica e la poesia di ricerca. Questa suddivisione va presa con beneficio di inventario, ma corrisponde alla realtà, almeno a grandi linee. Eppure, manca una svolta epocale. Forse è già stato scritto tutto. Restano solo delle microvariazioni sul tema. Certamente resta l’incognita di come l’utilizzo dell’intelligenza artificiale possa influire sui poeti oggi. Ma molti autori questa problematica non l’affrontano minimamente, affidandosi a topos sovrastrutturali ed estetici tradizionali. È anche vero, comunque, che la poesia è ormai di nicchia e che la critica è latitante. Di più: la critica letteraria accademica studia al massimo libri di due o tre decenni fa. La critica militante non fa più parlare: i suoi responsi restano solo nell’ambito della ristretta cerchia di addetti ai lavori, letterati, appassionati, poeti.

Oggi è il mercato a fare da padrone e la poesia non ha mercato. Un tempo erano gli italianisti a decidere il cosiddetto canone; oggi è il mercato. Da un lato ci sono le grandi case editrici che fanno cassa con i presunti libri di poesia di influencer furbetti, dall’altro per i booktuber oggi è importante l’aspetto fisico degli autori, l’estetica accattivante delle copertine: tutte cose che non hanno niente a che vedere con la qualità e i contenuti di un’opera. Inoltre, oggi è impossibile stare dietro alla produzione sterminata di poesia. In Italia ogni anno tra pubblicazioni cartacee, autopubblicazioni, ebook escono migliaia di opere. È difficilissimo distinguere il grano dal loglio per la quantità industriale. Tutto è su carta e online. Chi fa selezione? Chi fa una scrematura? Tutto finisce in un mare magnum indistinto. Così facendo però si rischia di perdere grandi voci poetiche. Carmina non dant panem? La vera e autentica poesia, quella che ha dignità letteraria, a mio modesto avviso non vende. Questo è sicuro, salvo rarissime eccezioni (si veda ad esempio Umberto Piersanti). Cesare Viviani, Maurizio Cucchi, Milo De Angelis vendono poche migliaia di copie, non sufficienti per vivere di sola poesia. La rabbia però deve lasciare il posto alla consapevolezza. Alcuni dicono che non serve a niente parlare e scrivere della crisi della poesia contemporanea italiana. Invece, questo è il problema dei problemi: la crisi è colpa dei poeti che sono banali o illeggibili, come scrive Berardinelli, o è colpa degli italiani che hanno una percezione errata della poesia e credono che essa sia le canzonette melense e strappalacrime? Eppure, leggo ogni anno decine di libri di poesia italiana, spesso pubblicata da piccole case editrici indipendenti, e la qualità è buona. I poeti e le poetesse ci sono. Allo stesso tempo c’è un grande fermento in rete. Ci sono tanti giovani che si occupano di poesia con riviste online e blog. Lo stato della poesia contemporanea italiana è buono. Qualcuno potrebbe controbattere che non si intravedono all’orizzonte nuovi Montale, nuovi Zanzotto, nuovi Pasolini, nuove Rosselli, nuove Merini. Si ritorna però alla nota dolente della critica militante latitante o nei migliori casi non più determinante, non più incisiva. Un tempo i grandi poeti venivano riconosciuti quando erano trentenni, quarantenni. Oggi la vita media si è allungata, ma molti restano degli stronzi arbasiniani per tutta la vita senza essere mai riconosciuti, anche se lo meriterebbero. E allora cosa dovrebbe fare un poeta? Non demordere e ricordarsi, come scriveva la Szymborska, che la poesia è un corrimano a cui aggrapparsi nei momenti difficili della vita.

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