Il mondo ha bisogno di più favole
Certamente molti ricorderanno la canzone del Guarracino (una simpatica filastrocca napoletana del ‘700 che narra di una battaglia tra i pesci del golfo di Napoli), divenuta famosa grazie alle indimenticabili interpretazioni di molti grandi artisti. Fra le tante spiccano quella di Roberto Murolo, che ne fece una versione intimista solo chitarra e voce, e quella della Nuova Compagnia di Canto Popolare, che la incise con un coinvolgente arrangiamento polifonico e virtuosistico.
Il testo racconta di un guarracino (un pesciolino tipico dei nostri fondali, noto anche coi nomi di castagnola e coracino) che si invaghisce di una sardella e le fa la corte. Ma l’alletterato (detto così perché sul dorso ha dei segni che ricordano delle lettere), ex fidanzato della fanciulla e ancora speranzoso di riprendere tale relazione, non appena viene a conoscenza della presenza del presunto rivale, corre a casa e… «Si armò a rasoi, si caricò come un mulo di schioppi, di spingarde, polvere, palle, stoppa e schegge. Si mise in tasca quattro pistole e tre baionette; sulle spalle settanta pistoni, ottanta bombe e novanta cannoni. E come un guappo paladino andò alla ricerca del guarracino.»
Lo trova nella pubblica piazza e senza pensarci due volte gli salta addosso e inizia a dargliele di santa ragione. Al che scendono in campo amici e parenti di entrambi, i quali, senza nemmeno cercare di dividerli, si buttano nella mischia e anch’essi giù botte da orbi. Inutile dire che da una semplice rissa si passa a una faida che coinvolge tutti i pesci del nostro golfo.
Purtroppo non ci è giunta notizia di come sia poi andata a finire. Infatti, l’anonimo autore, quasi certamente un cantastorie, invece di escogitare un finale pacificatore, ben pensa di concludere il brano dicendo agli ascoltatori di essere stanco (in effetti la canzone è lunghissima perché l’elenco dei pesci coinvolti è alquanto considerevole) e chiedendo il permesso di bere, perché ormai per il troppo cantare gli si è seccata la gola. Alcuni studiosi ritengono che così facendo l’autore abbia deciso di lasciare all’ascoltatore la libertà di immaginare il finale desiderato; altri, invece, pensano che abbia voluto evidenziare l’eterna difficoltà dell’uomo a mettere fine alle diatribe e alle guerre.
Ovviamente qualcuno si starà chiedendo «Ma cosa c’entra con Hans Christian Andersen?» Beh, sembrerebbe che il noto scrittore danese abbia attinto da questa canzone per elaborare la sua favola Il grande serpente di mare, la cui storia differisce dalla nostra solo per un diverso inizio e un differente epilogo.
Infatti, questa narra di un pesciolino che, mentre nuota serenamente in compagnia della sua numerosa famiglia… «Vide cadere dall’alto, giusto in mezzo al branco e con un rumore terribile, una cosa lunga e pesante che si allungava sempre di più; e chiunque veniva toccato rimaneva schiacciato o subiva un colpo tale da non riuscire a riprendersi.»
In realtà si trattava di un lunghissimo cavo telegrafico, calato in mare per permettere le comunicazioni fra l’Europa e l’America, ma i pesci non lo sapevano! Anzi, pensavano che fosse un enorme serpente. Ne erano così spaventati da non riuscire a prendere nessuna decisione. Ovviamente ognuno diceva la sua e pretendeva di avere ragione. Anche il nostro pesciolino espresse il proprio pensiero, dicendo che secondo lui doveva essere qualcosa di diverso da un enorme serpente. Ma, come accade spesso in questi casi, venne zittito con la solita frase umiliante: «Sei troppo piccolo per poter avere voce in capitolo!» I battibecchi continuarono, gli animi si infervorarono, la situazione degenerò e iniziarono a litigare fra loro. E ciò fino a che il pesce gatto trovò il coraggio di agire e si lanciò all’attacco del grande serpente. Gli altri gli andarono dietro ma, anche se la foga era tanta, l’organizzazione era praticamente assente: tutti si muovevano all’impazzata! E così, proprio nel momento in cui il pesce gatto stava per mordere il cavo, il pesce sega senza volerlo gli infilò la propria sega nel posteriore. Immaginatevi la scena! Il pesce gatto non solo non ebbe più l’ardire di mordere, ma si arrabbiò col pesce sega, gli saltò addosso, iniziarono ad azzuffarsi e – proprio come nella canzone del guarracino – «Gli amici e i parenti di entrambi, senza nemmeno cercare di dividerli, si buttarono nella mischia e se le diedero di santa ragione.»
Ovviamente ci fu anche chi saggiamente si tenne alla larga da tutto ciò e cercò di capire cosa fosse esattamente quel “grande serpente”, che comunque sembrava inoffensivo. La mucca marina ipotizzò che fosse una trovata degli uomini malvagi per catturare tutti i pesci del mare, e suggerì di non morderlo, perché poteva essere una trappola. Al che tutti i pesci presenti furono d’accordo con lei. Tutti tranne il nostro pesciolino, che rimase della sua opinione: «Secondo me quel lungo serpente è forse il pesce più meraviglioso del mare. Io non credo che sia pericoloso!»
Morale della favola – Sembra che Hans Christian Andersen abbia voluto invitarci a riflettere sul fatto che… «Quel “grande serpente” che di anno in anno cresce in potenza e in estensione fino a “mordersi la coda”, mettendo tutti in comunicazione…» non è altro che il mezzo tramite cui acquisire conoscenza. Non a caso il serpente che si morde la coda (detto Uroboro) è uno dei simboli più intriganti delle filosofie esoteriche, rappresentando (fra le altre cose) anche l’immortalità e la perfezione. Chissà, forse è proprio questo lo scopo della conoscenza: raggiungere l’immortalità e la perfezione.
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