“Fra 30 anni l’Italia sarà non come l’avranno fatta i governi, ma come l’avrà fatta la televisione”. Basterebbe questa affermazione, rilasciata nel 1970, quando i canali televisivi erano solo due, per definire la grandezza, modernità e acutezza di Ennio Flaiano.
A raccontarci la sua infanzia difficile tra una famiglia adottiva ed un padre che vedeva solo d’estate, del suo approdo a Roma dove “perse l’innocenza ma imparò a vivere”, dove incontrò la moglie, entrambi imboscati durante un discorso di Mussolini, dove frequentò caffè letterari ed iniziò a scrivere per il cinema, sono un’appassionata Cecilia Dazzi e la voce di Neri Marcorè che ce lo descrive recitandone le fulminanti riflessioni, sugli uomini, l’esistenza, la vita.
Il bel documentario di Corallo e Parisi, vincitore del Nastro d’argento 2023, fa parlare di Flaiano storici, critici letterari e cinematografici, registi e attori, dalle testimonianze dei quali emerge l’arguzia e lo sguardo unico, l’ironia distaccata e l’affettuoso cinismo con cui ha visto l’Italia e l’ha raccontata lui, nativo di Pescara, annientando, la prosa ridondante e celebrativa del conterraneo D’Annunzio.
Un umorista, sì, ma per niente facile da trattare, come testimoniato dal complicato rapporto con Federico Fellini, assieme al quale scrisse tra le migliori pagine del cinema italiano, ma la cui collaborazione si racconta infrangersi per questioni piccine, o come quando alcune velate accuse di misoginia lo descrissero come un uomo mal disposto verso il genere femminile.
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