Pinocchio – Che cos’è una persona?

Lo spettacolo di Davide Iodice trasforma la favola in una potente riflessione sulla vita reale

Dal 27 al 29 settembre al Teatro San Ferdinando di Napoli è andato in scena Pinocchio- Che cos’è una persona?-Studio n.1, con la regia e drammaturgia di Davide Iodice.

Uno spettacolo che ha segnato la nascita del progetto Compagnia della Scuola Elementare del Teatro, che tra il 2023 e il 2024 ha già risco

ntrato un notevole successo in giro per l’Italia: dal Campania Teatro Festival al Wonderland di Brescia, dal Festival Primavera dei Teatri

d

i Castrovillari fino alla recente esperienza al Narni Città Teatro, questo Pinocchio non è semplice teatro, ma una vera e propria poesia “live”.

Non potrebbe essere tale senza i suoi straordinari interpreti (oltre venti), tra cui ragazzi con sindrome di Down, autismo, Williams e Asperger, in scena assieme alle loro famiglie e ai loro amici: Giorgio e Patrizia Albero, Gaetano Balzano, Danilo Blaquier, Federico Caccese, Stefano Cocifoglia, Giuseppe e Simona De Cesare, Gianluca De Stefano, Paola Delli Paoli, Chiara Di Sarno, Aliu’ Fofana, Cynthia Fumanò e Ariele Pone, Vincenzo Iaquinangelo, Marino e Serena Mazzei, Giuseppina Oliva, Tommaso Renzuto Iodice, Giovanna Silvestri, Jurij e Renato Tognaccini. Importantissimo il training al movimento scenico, a cura di Chiara Alborino e Lia Gusein-Zadé.

Le musiche sono di Gianluigi Trovesi e Gianni Coscia, i versi sono stati scritti da Giovanna Silvestri.

Hanno collaborato alla pedagogia e al processo creativo: Monica Palomby, Eleonora Ricciardi, i tutor Danilo Blaquier, Veronica D’Elia, Diario Di Bordo, Mara Merullo e Antonio Senese.

Lo spettacolo è co-prodotto da Interno 5 e dalla Scuola Elementare del Teatro.

Non ci sono parole per descriverlo, bisogna vederlo. Per chi l’abbia già visto – che sia stato durante le prove o nelle repliche passate – è impossibile non commuoversi, come se lo si vedesse per la prima volta.

Perché Pinocchio – Che cos’è una persona? ci porta in un viaggio emotivo e profondo, mescolando poesia e realtà, dove la disabilità e la marginalità trovano spazio tra gli archetipi della favola di Collodi. Attraverso una messa in scena che interroga e smuove, Iodice trasforma il palco in un luogo dove il teatro non è solo rappresentazione, ma un vero e proprio laboratorio di umanità, in cui la vita si esprime in tutta la sua vulnerabilità e bellezza.

Grillo, come un Cristo piegato dal peso di una croce fatta di libri, avanza sotto il giudizio del mondo, riflesso di una società che ancora fatica a riconoscere le persone dietro le etichette. Questo abecedario ambulante, zavorra di parole che necessitano di essere ridefinite, diventa metafora del percorso di accettazione e riscatto che ogni Pinocchio deve affrontare. “Cri cri, cri cri” diventa dunque il suono del calvario, prima della processione della Fata Turchina, dove ognuno esprime i propri desideri: come il Pinocchio che conosciamo sogna di diventare un bambino vero, così anche questi ragazzi sognano una vita “normale”, come tutti gli altri. C’è chi desidera scrivere un libro, chi sogna un lavoro e una casa tutta sua, chi vuole guidare la macchina per poter fare tanti viaggi andando a trovare le persone care e chi semplicemente vorrebbe una fidanzata da poter amare.

Terribile il momento che segue immediatamente dopo: il ciuchino che corre forsennatamente per la scena (“Pinocchio, salta nel cerchio di fuoco!”, “Pinocchio, più veloce!”, “Pinocchio, devi essere all’altezza degli altri!”) e che alla fine si dimena in un raglio che distrugge l’anima e scatena il pianto, anche in chi guarda. Perché ci mette di fronte alla nuda verità: pretendiamo che questi ragazzi vivano la loro vita secondo i nostri tempi, ignorando il fatto che dovremmo essere invece noi a comprendere i loro.

Il palcoscenico è un mosaico di emozioni e gesti che celebrano la semplicità e l’essenza della vita, dove la normalità non è altro che accettarsi e accettare gli altri, meglio ancora se insieme e felici.

Il regista ci mostra una realtà spesso nascosta, ma potente e commovente. Le famiglie, Fate Turchine senza bacchetta, si ergono come baluardi di resistenza civile, affrontando quotidianamente le sfide di un mondo che tende a escludere. Con un linguaggio scenico che unisce poesia e denuncia. Iodice costruisce un teatro che non è terapia, ma una macchina dei sogni capace di sollevare il velo su ciò che spesso viene taciuto, senza pietismi, ma con una cruda verità che si fa strada attraverso ogni sguardo e ogni gesto.

Una delle scene più toccanti vede il genitore che, con una carezza, mette sul viso del proprio figlio il lungo naso di Pinocchio, rivendicando con orgoglio la sua diversità. È un invito a tutti noi spettatori a riconoscere e accettare queste persone, così come sono state accettate dai loro cari. La scena diventa un simbolo potente di accoglienza e amore incondizionato.

La bellezza dello spettacolo risiede nella sua capacità di farci dimenticare le nostre preoccupazioni quotidiane, immergendoci in una realtà sincera e sofferta, ma pur sempre vibrante di vita. Il suono dolce della musica accompagna il pubblico verso una catarsi collettiva, un urlo di “viva il teatro, viva la vita”, che risuona in tutti noi mentre ci interroghiamo su cosa accadrà “dopo”. Il dopo è lasciato aperto, un invito a sognare e desiderare un mondo senza barriere, un luogo di rispetto e accoglienza per tutti.

Davide Iodice e la Scuola Elementare del Teatro ci regalano una serata di riflessione e commozione, dove per un’ora il teatro diventa specchio e rifugio, in cui la vita vera scorre con tutta la sua forza e fragilità.

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