Cari gentili lettori (cit.), un’altra stagione è giunta al termine… e, no, non mi riferisco a quella matrimoniale: sto parlando dell’attesissima terza stagione di Bridgerton, uscita su Netflix lo scorso maggio e addirittura divisa in due parti.
La cosa ha generato non poco “hype” da parte dei fan, che l’hanno letteralmente divorata a poche ore dal caricamento sulla celebre piattaforma streaming, per poi scatenarsi nel commentarla sui social network. Non sono mancati, inoltre, tantissimi meme e reels divertenti, al riguardo. Alzi la mano chi non ha ancora dimenticato quelli della prima stagione, su un certo cucchiaino…
È indubbio che la serie continui a far parlare di sé, tra chi la ama e chi la odia. L’autrice, che non nega di esserne stata una spettatrice curiosa quanto voi, si domanda: cosa determina il “fenomeno Bridgerton”, qual è stata la chiave di così tanto successo?
Orbene, occorre fare un piccolo passo indietro…
Ideata da Chris Van Dusen e prodotta da Shonda Rhimes (Scandal, Le regole del delitto perfetto e la più famosa Grey’s Anatomy) la serie è basata sull’omonima saga di romanzi harmony di Julia Quinn, ambientati nell’alta società londinese durante il periodo della Reggenza. Bridgerton, è appunto il nome della nobile famiglia protagonista. Sono ben otto fratelli, figli di Violet, vedova del visconte Edmund. Mamma Violet è stata una felice eccezione alle rigide regole della società del tempo: in quello che viene letteralmente definito “mercato matrimoniale”- dove l’unico scopo di una donna era quello di contrarre un matrimonio vantaggioso entro i 25 anni e poter generare degli eredi- si è sposata per amore. Ecco perché augura la stessa sorte anche ai suoi figli e alle sue figlie.
Ogni libro della serie (otto, per l’appunto) è interamente dedicato a un fratello o una sorella Bridgerton, trattando la titanica impresa: trovare il vero amore. Sì, sembra una formula presa dalla Disney, ma non è così! Anche se non manca qualche riferimento. Le ispirazioni della fortunata serie sono difatti molteplici, ma il binomio principale sembra essere: Jane Austen + Gossip Girl. Eh sì, perché anche lì c’è una misteriosa autrice che si diverte a raccontare di scandali e pettegolezzi, sotto lo pseudonimo di Lady Whistledown.
La stagione 1 – approdata su Netflix il 25 dicembre 2020 – ha seguito le vicende della maggiore delle figlie, Daphne, alle prese con il suo debutto in società e con un misterioso Duca. Per questa coppia, si parte con un grande classico: il fake date, con un “cucchiaino” di Promessi sposi.
La stagione 2 ha visto invece protagonista il maggiore Anthony, l’erede al titolo di Visconte, finalmente intenzionato a prender moglie. Per la sua storia d’amore, il copione prescelto è enemies to lovers. Lo stesso utilizzato da un certo signore di nome Shakespeare…
Arriviamo finalmente alla stagione 3, che vede in scena la coppia più amata dai fan: il terzogenito Colin Bridgerton e la sua vicina di casa, Penelope Featherington, sua amica di sempre e, da sempre, segretamente innamorata di lui (friends to lovers), deviando persino dall’ordine dei libri che era stato finora rispettato. Qui si sfiora addirittura il genere della fantascienza, visto che la nostra Pen riesce ad uscire dalla friendzone: insegnaci, maestra.
Ma qual è, dunque, la formula vincente della serie statunitense?
Nonostante l’ambientazione alla “Orgoglio e pregiudizio”, il linguaggio utilizzato è contemporaneo, così come sono moderne le tematiche trattate: la sessualità – un tabù solo per le donne – l’emancipazione femminile, la ricerca di una propria identità lontano dalle etichette sociali, la body positivity (di cui è portavoce proprio il personaggio di Penelope, interpretato da Nicola Coughlan), l’inclusione. Quest’ultimo aspetto è piuttosto esasperato, considerando anche l’inesattezza storica… ma stiamo pur sempre parlando di un prodotto Netflix.
La scelta di modernità si riflette anche nelle musiche utilizzate, canzoni attuali (Billie Elish, Taylor Swift, Maroon 5, Miley Cyrus, perfino Pitbull) suonate dall’orchestra durante i numerosi balli, la cui organizzazione sembra essere l’unica occupazione di tutti i personaggi. Beati loro!
I restanti ingredienti del “cocktail”, cari lettori, sono quel pizzico di sano trash, composto dai migliori cliché delle commedie americane, e le scene di sesso messe a caso: alcune, oltre ad essere abbastanza inverosimili, sono quasi comiche, considerata la totale inesperienza delle giovani donzelle in merito. Senza contare, la simpatia di alcuni personaggi di contorno: alla Regina Carlotta, con le sue acconciature improbabili e la grazia di un camionista ubriaco, è stato dedicato un intero spinoff, che l’autrice consiglia.
In definitiva: Bridgerton è un leggero e piacevolissimo divertissement, da guardare senza eccessivo impegno e senza troppe pretese… non è un documentario, insomma. Sarà per l’inconfondibile voce narrante della mitica Julie Andrews/Lady Whistledown, sarà per i costumi mozzafiato tutti pizzi e merletti o per l’impeccabile fotografia, sarà per la prestanza fisica degli attori, per le location incantevoli o, più semplicemente, per tutte quelle storie a lieto fine… voi sapete già come va a finire, eppure non riuscite a smettere di guardarlo.
Perché, in fondo, anche voi, gentili lettori, avete bisogno di un po’ di lieto fine…concedetevelo, almeno in tv!
Sentitamente vostra,
Lady Whistledown
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