Scrittura, regia, recitazione: l’arte totale di Simone Pascale

Editoriale

Agosto 5, 2024

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L’attore protagonista di “L’affanno prima della quieta” si racconta

Nato nel 1997 a Pompei, Simone Pascale si appassiona fin da piccolo alle arti, in particolare a musica e teatro che comincia a praticare ininterrottamente dal 2011 fino ad oggi.
Nel 2018 scrive e dirige il suo primo cortometraggio, “L’equazione di Dirac”, a cui segue “Pathophobia” che gli garantisce l’ingresso nel corso a numero chiuso di cinema e audiovisivo presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, dove consegue poi una laurea triennale, portando avanti anche la sua carriera da attore, passando alla recitazione cinematografica, prendendo parte a cortometraggi, videoclip, spot e serie tv.

Attore, regista, sceneggiatore. Quale dei tre ruoli sente più suo?

Da che ho memoria sono nati quasi tutti contemporaneamente, fin da piccolo ho sempre avuto questa propensione per la scrittura e per la recitazione. Crescendo poi ho voluto effettivamente mettere in pratica queste mie due passioni, sentivo il bisogno di mettermi alla prova, così nel 2011 venni invitato da una mia cara amica nella sua compagnia amatoriale di teatro e da quell’anno non ho mai smesso. Per quanto riguarda la regia, invece, sembra banale dirlo ma credo che dentro di me c’è sempre stato un piccolo regista, ossessionato da quella videocamera JVC con la quale mio padre girava dei filmini amatoriali durante le vacanze estive…credo sia stato poi il cosiddetto “destino” a portarmi in alcune situazioni grazie le quali ho iniziato effettivamente a mettere in scena ciò che scrivevo.

Cosa ha dato ciascuna veste alle altre due?

Indubbiamente aver avuto la possibilità di essere stato davanti e dietro la camera in diverse occasioni, ti dà spunti di riflessione in più e una visione d’insieme maggiore. Con il passare degli anni mi sono reso conto di tante cose, soprattutto della direzione degli attori sul set e di come interpretare al meglio le battute di una sceneggiatura. Personalmente ne ho trovato giovamento soprattutto quando mi ritrovo in veste di attore; avendo sperimentato sulla mia stessa pelle cosa significa dirigere una troupe, riesci ad entrare molto di più nel mood di lavorazione conoscendone già le tempistiche e le varie problematiche, che non mancano mai…riesci ad essere molto più paziente e zen, non ti disturba affatto attendere per tutte quelle ore la preparazione di una scena e capisci soprattutto quanto sia importante il dialogo con tutti gli addetti ai lavori per rendere il lavoro meno duro e pesante. Credo rientri anche una buona dose di amore e passione in tutto questo, se non c’è quella è meglio cambiare mestiere fin da subito. Quando mi ritrovo a scrivere, invece, cerco sempre battute o esclamazioni che non sembrino finte recitate, anche lì per me è molto più semplice immedesimarmi in un personaggio e pensare “Come darei questa battuta se fossi sul set? Troppo finta? Troppo poco sentita? Troppo cacofonica?”. Insomma fa tutto parte di quella visione d’insieme che ho citato poco fa, ti rendi conto che tutto sembra poi confluire nella stessa direzione e nello stesso grande flusso di energie e quando te ne rendi conto è semplicemente meraviglioso.

Qual è stata la principale difficoltà nel preparare il ruolo a lei assegnato?

È stata una bella sfida, per nulla semplice. Non sono solito interpretare personaggi del genere, soprattutto con un background delineato così bene e con delle intenzioni così mirate e precise, in questo Salvatore è stato esemplare e profondo…in realtà sembra scontato dirlo ma tutto il corto lo è. Ricordo che all’inizio mi risultava abbastanza difficile mantenere per tutte quelle ore un’intenzione e uno stato emotivo così intimo e intenso, non puoi permetterti nemmeno per un minuto di uscire dal personaggio perché non ci ritornerai mai allo stesso modo…è una convinzione che ho sviluppato con gli anni. Fortunatamente il tutto è stato semplificato, oltre che dalla direzione di Salvatore, anche dalla presenza di addetti ai lavori con i quali già c’era un’intesa forte e confermata, a volte è importante anche sentirsi circondati da persone simili.

Come ha affrontato il piano sequenza di quasi sette minuti presente nel corto?

Ci sono state molte prove tra me ed Onorina, con Salvatore presente, e sono state provvidenziali e decisive durante le riprese, oltre al feeling tra noi interpreti presente già da tempo. È stato come tornare per sette minuti a teatro. Nonostante tutto per quel piano sequenza abbiamo dovuto ripetere diversi ciak, oltre alle varie battute saltate, dimenticate, ma anche questo fa parte del gioco e credo che il prodotto finale sia più che buono, soprattutto vicino a come lo immaginava Salvatore.

In cosa la sua esperienza da regista e sceneggiatore l’ha aiutata a mettere in scena il personaggio che ha interpretato?

Sento di potermi rifare alla risposta che ho dato poco fa, sulla questione della “visione d’insieme”. Ha giovato senza dubbio, ma in questi casi devi sempre ricordarti di non scavalcare e di non uscire dal tuo ruolo, dopotutto gli attori sono anch’essi addetti ai lavori. Ciò non toglie che come tale ogni tanto puoi proporre cose nuove, magari battute non previste in sceneggiatura, ed è importante che si instauri un rapporto tra l’attore e il regista, perlomeno è quello che penso e cerco sempre di fare.

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