Michele Mele, la vita attraverso gli occhi di un visionario

Editoriale

Agosto 5, 2024

Tag

Eccellenza italiana, il matematico salernitano dedica i suoi giorni all’accessibilità

Nato a Salerno nel 1991 con un’eredodegenerazione retinico-maculare, Michele Mele ha trasformato la sua condizione in un’autentica fonte di ispirazione. Al termine dei suoi studi accademici in ambito matematico, tra Salerno e Napoli, i successi professionali non sono tardati ad arrivare, occupando posti di rilievo all’interno dell’Università degli Studi del Sannio a Benevento e coordinando il progetto “Accessibilità all’Arte” del Touring Club Italiano, di cui è anche ideatore. Come se ciò non bastasse, è autore di due libri attraverso cui svolge un’importante opera di sensibilizzazione, ed è stato insignito del titolo di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana dal Presidente della Repubblica Mattarella.

Come è iniziato il suo interesse per la matematica e le scienze informatiche?

Può sembrare paradossale, ma forse la patologia con cui sono nato ha contribuito a stimolare questo interesse fin dall’infanzia. Per spostarmi in autonomia, ho sempre dovuto geometrizzare lo spazio intorno a me, memorizzando percorsi, angoli e ostacoli. Questo dettaglio, unito al fatto di non essere mai stato rinchiuso sotto una campana di vetro, mi ha permesso di sviluppare una capacità di astrazione che è spesso tornata utile e che mi ha allenato al ragionamento logico-deduttivo ed alla pianificazione.

Quali sfide ha affrontato durante il suo percorso accademico a causa della sua condizione visiva?

Non disponiamo ancora di tecnologie pienamente mature per la lettura delle formule, ovvero per la loro riproduzione non ambigua con gli assistenti vocali, ho dovuto quindi costruirmi, in modo del tutto personalizzato, combinazioni di altri strumenti come LaTex e diversi screen reader per riuscire a manipolare oggetti matematici complessi.

Come descriverebbe il suo lavoro attuale nell’ambito dell’Ottimizzazione Combinatoria all’Università del Sannio?

Mi occupo di modellare e di creare algoritmi per risolvere problemi connessi all’ottimizzazione di risorse materiali, umane e di tempo. Si tratta di sfide estremamente concrete, come l’organizzazione di esami in un’intera nazione, l’assistenza a persone con bisogni speciali negli aeroporti e la gestione delle reti ferroviarie o informatiche. Mi occupo in realtà anche un po’ di storia della scienza e di didattica della matematica, specialmente degli aspetti legati all’accessibilità e all’inclusione.

Cosa l’ha ispirata a ideare e coordinare il progetto “Accessibilità all’Arte” del Touring Club Italiano?

Nel tentare di rendere accessibile un’opera bidimensionale come un quadro o un affresco, si tende purtroppo a seguire metodologie non scientifiche, addirittura a traslare l’opera in tre dimensioni. Quest’ultima operazione snatura però il lavoro dell’artista, modificando ad esempio l’impianto prospettico; è per questo che, con il supporto del Centro d’Ateneo SInAPSi dell’Università di Napoli ‘Federico II’, abbiamo fondato quest’iniziativa, volta alla creazione di riproduzioni tattili bidimensionali di beni artistici bidimensionali secondo un framework scientifico.

Quali sono state le reazioni più significative che hai ricevuto dalle persone ipovedenti e non vedenti riguardo alle riproduzioni tattili dei beni artistici?

Non dimenticherò mai la turista proveniente dall’estremo oriente giunta a Salerno qualche anno fa proprio per toccare le riproduzioni tattili degli affreschi di Santa Maria de Lama, sito scelto dal progetto ‘Aperti per Voi’ del TCI a Salerno e punto di partenza del mio progetto.

Qual è stata la motivazione principale che l’ha portata a scrivere “L’Universo tra le dita”?

Molti ragazzi ipovedenti o non vedenti vengano ancora allontanati dalle discipline scientifiche fin dai primi anni di scuola. Anche io sono stato vittima del pregiudizio, un mio professore di matematica e fisica al liceo mi disse apertamente che, data la mia patologia, non avrei potuto capire la sua materia. Ho dunque deciso di contrastare i preconcetti alla base di questa piaga nel modo più immediato, raccontando con un linguaggio semplice ed accessibile le vere storie di scienziati ipovedenti o non vedenti, sia del passato che del presente. Le figure presentate nel libro sono dieci, sei del passato e quattro viventi, dal primo scienziato non vedente della storia, nato nella seconda metà del XVII secolo, ai giorni nostri.

Come ha selezionato le figure di scienziati ipovedenti o non vedenti da includere nel suo primo libro?

La quantità di materiale sufficiente a ricostruire non solo l’attività scientifica, ma anche il percorso di vita sin dall’infanzia, è stato il criterio guida durante tutta l’attività di ricerca. D’altra parte, il mio obbiettivo non era la creazione di una lista disomogenea di biografie, ma quello di abbattere i preconcetti, di lanciare un messaggio di speranza ed inclusione, di dimostrare che è il contesto a determinare la disabilità, non un pugno di cellule in meno.

Che impatto pensa possa avere la storia di John Metcalf sui lettori, in particolare su quelli con disabilità visive?

La sua appassionante storia è la dimostrazione lampante dell’inconsistenza dei pregiudizi, delle potenzialità delle persone con patologie della vista e del ruolo di un contesto inclusivo per la fioritura dei loro talenti. Per questo, dopo aver visitato personalmente la sua cittadina natale e alcuni dei numerosi luoghi in cui le sue tracce sono ancora oggi visibili, ho deciso di dedicargli il mio secondo libro “Il Richiamo della Strada”, nel quale approfondisco ogni aspetto della sua vita, dall’infanzia alla maturità, passando per le sue numerose imprese, scientifiche e non, in pace e in guerra. Di recente ho ricevuto un messaggio nel quale la madre di una bambina non vedente mi ringraziava per l’effetto positivo che la storia di John Metcalf aveva avuto sulla figlia. La piccola ha perfino espresso il desiderio di visitare gli stessi luoghi da me esplorati prima della stesura del saggio.

Quali consigli darebbe ai giovani ipovedenti o non vedenti che desiderano intraprendere un percorso di studi scientifici?

Se è questa la vostra passione, non permettete a nessuno di ostacolarvi e, nel caso sia necessario, guidate chi vi circonda alla scoperta del vostro mondo, in modo che non ponga ulteriori ostacoli sul vostro cammino. Tanti ipovedenti o non vedenti, anche secoli prima dell’invenzione del Braille o del computer, hanno scritto pagine fondamentali delle scienze, potete farlo anche voi.

Quali, invece, alle persone prive di difficoltà collegate a patologie insorte, in relazione a una reale sensibilizzazione sulla tematica dell’esclusione sociale”?

Il punto di partenza è culturale. Inizia dall’eliminazione di termini sbagliati come ‘handicap’ o ‘minorati della vista’ e passa per il rispetto delle più basilari regole di convivenza civile. Inoltre, suggerisco di smettere di vedere le persone con patologie della vista come strambi eroi, persone fragili oppure oggetti di pietismo, queste sono tutte rappresentazioni sbagliate e sovente offensive che contribuiscono al permanere degli stigmi. Empatia e razionalità, due sorelle gemelle, sono alla base di ogni processo d’inclusione.

Michele e Mattarella

Michele e Mattarella

In che modo la sua esperienza personale ha influenzato il suo approccio alla divulgazione delle problematiche delle persone ipovedenti e non vedenti?

Essendo nato con una grave patologia della vista, è chiaro che certe tematiche mi interessino particolarmente. Seguo semplicemente una vecchia massima che afferma: “sii il cambiamento che vuoi vedere”.

Lei è un esperto nel mondo scientifico che, tuttavia, ha profuso molte energie in progetti legati all’arte. Ritiene che questa dicotomia tra studi umanistici e studi scientifici abbia poco senso d’essere? E, a tal proposito, cosa cambierebbe nella narrazione dell’uno e dell’altro percorso?

Si tratta di una distinzione anacronistica frutto dell’impianto gentiliano della nostra scuola. Il sapere e la cultura sono unitari, ogni distinguo con carattere avversativo impoverisce tutti noi. La consapevolezza dell’unità del sapere consente una maggiore produttività in ogni settore della ricerca e l’abbattimento di altre false credenze, specialmente quelle che alimentano solo nefaste teorie complottiste e revisioniste. Come lo scienziato trae indubbio giovamento dalla conoscenza delle lingue o della storia, così l’uomo di lettere che apprenda a pieno i meccanismi del metodo scientifico saprà svolgere meglio il proprio lavoro.

Cosa significa per lei essere insignito del titolo di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana?

Fa certamente molto piacere vedere che uno sforzo profuso senza aspettarsi ricompense venga premiato, ancora di più quando il riconoscimento giunge da una persona di profonda sensibilità come il Presidente Mattarella.

Navigazione EditorialeEstate da brividi con il reggaeton vichingo >>Giovanni Del Monte: un marziano a Roma >>

Autore

Questa voce fa parte 1 di 80 nell'editoriale Il Novelliere 14

0 commenti

Invia un commento

Scopri di più da Il Novelliere

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continue reading