Dal magma della danza, il caos tranquillo di Roberto Zappalà

Editoriale

Luglio 31, 2024

Categorie

Tag

Immersione nella vita di uno sperimentatore, che ha iniziato per amore

C’è sempre un momento in cui il canone avverte la necessità di affrontare una transizione per sopravvivere a se stesso e slabbrarsi in ponti che arrivino ad arcipelaghi apparentemente lontani e diversi. Il movimento del mondo “danza” fu scosso da personalità come Marta Graham, Pina Baush, Reinhild Hoffmann, che irruppero sulla scena internazionale e allargarono la visione mettendo al centro l’emozione del corpo, prima ancora del passo estetico. Una poetica fatta di suoni del corpo, musica dei movimenti, danza e teatro del sangue e dell’istinto creativo.

Alla scuola dello sperimentalismo – inteso come bottega di talenti con cui riscrivere canoni e sintassi dell’arte – appartiene Roberto Zappalà che da oltre trent’anni ha dato una nuova forma al linguaggio della danza, fondando in Sicilia, terra vulcanica di pietra e magma, uno dei più importanti Centri italiani per la danza (riconosciuto dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali), Scenario Pubblico / Compagnia Zappalà Danza Centro di Rilevante Interesse Nazionale, espressione diretta di un inedito stile coreografico.

È qui che prendono forma il MoDem e Scenario Pubblico. Ma da dove nasce l’urgenza dell’artista siciliano?

«La mia giovinezza l’ho vissuta a Catania, alla fine degli anni Settanta. Dai 15 ai 19 anni, sono stati anni complicati. La Sicilia viveva il tempo poco prima dei momenti stragisti, c’era più delinquenza di oggi, una delinquenza da strada, la notavi. Però allo stesso tempo c’era rispetto, convivialità tra le persone. Ricordo bene le grandi radunate di amici nelle piazze, dove sono nati i primi approcci verso l’arte. Per amore di una ragazzina mai condiviso, ho iniziato a fare danza. Facevo calcio. Ma da quel momento iniziai ad interessarmi di danza e a studiare fino a che ho ottenuto il primo contratto a 18 anni, al Bellini di Catania. Poi un anno dopo, le audizioni per l’Arena di Verona».

Il futuro guru della danza contemporanea avrà modo di farsi le ossa e raffinare visione e stile come ballerino.

«Un primo vero cambiamento che concerne al territorio di origine è stato più evidente in rapporto alla mia figura di coreografo. Finché sei danzatore, non hai un tuo vero linguaggio da esprimere, sei un esecutore, fai quel che dice il coreografo che ha la possibilità di mettere in campo alcuni meccanismi. E questi meccanismi hanno ripercussioni notevoli rispetto a dove vivi, alla qualità della vita, all’energia che assorbi in quella terra, alla frequentazione degli ambienti. Nel mio caso la Sicilia ha impresso in me un caos tranquillo. La vicinanza del vulcano ha inciso ancora di più. È un grande orco che ogni tanto si fa sentire, anche nelle mie creazioni. Quando un artista nasce al Sud, ha un tipo di espressione».

Zappalà inizia così a scindere i percorsi: quello di chi usa un linguaggio e la prospettiva del deus ex machina che muove i ballerini estendendo la propria filosofia ai corpi sul palcoscenico.

«Citando Paul Valéry secondo cui “Pensavo che i piedi del danzatore sapessero solo disegnare, vedo che sanno anche pensare e scrivere”, posso dire che la coreografia permette proprio questa cosa. Dopo l’Arena di Verona, ho affrontato un’audizione in Rai. Eravamo forse 2mila persone e sono stato tra gli 8 uomini selezionati da Don Lurio e Alessandra Martines. Così ho iniziato la nuova avventura per altri 4 anni. Ma intanto sviluppavo il desiderio di fare qualcosa di mio. Don Lurio mi dava preziosi consigli, io eseguivo sempre a modo mio. Dopo la parentesi televisiva, sono tornato al teatro e ho ballato per due anni coreografie di Jiri Kilian, Mats Ek, Birgit Culberg e altri. A 28 anni ho avviato il percorso come coreografo, ho deciso di smettere di danzare e di trasferirmi di nuovo nella mia città. Dopo tanto studio e viaggi in diversi paesi, capii che volevo tornare a Catania, in un luogo dove non c’erano elementi che mi potessero condizionare. Sono passati dieci anni, ho compreso verso quali obiettivi volevo andare, con quale linguaggio. Un coreografo contemporaneo come me, che disegna i costumi, le scene, le luci, ha bisogno di tempo per elaborare tutto, come la drammaturgia di un film. Un grande passo avanti è stato avere un contatto molto più autentico con la terra. Abbiamo tolto gli scarpini di danza e i calzini, per avere il rapporto tra piede nudo e terreno. E lì è cambiato il mio linguaggio».

 È praticamente l’incipit del linguaggio MoDem, movimento democratico, dove a esercitare il potere della scena è il corpo dei danzatori. Affiancato da Nello Calabrò, Zappalà avvia una collaborazione che dura da oltre vent’anni. «Nello non è solo il mio factotum di scrittura e sceneggiatura, ma un grande amico, parliamo molto del lavoro che facciamo attraverso grandi argomenti sociali. Ha una memoria incredibile e una grande curiosità, un grande lettore, trova sempre appoggi sul cinema, siamo entrambi innamorati del grande schermo. È un esperto ed è stato lui a dirmi che io sono il più cinematografico dei coreografi di sua conoscenza. È vero, nella composizione dei miei lavori è come avere una telecamera che cambia focus, cosa molto complessa in uno spazio limitato come il palcoscenico».

Contaminazione, scambio culturale, osservazione di culture altre gettano le basi di una continua trasformazione dell’atto performativo della Compagnia. Da qui parte il prossimo progetto di Zappalà che prevede l’incontro tra la Sicilia e la cultura giapponese. «Leggo un parallelismo tra Etna e Monte Fuji, dove si notano le differenze complementari dei popoli. Uno è il vulcano del silenzio, l’altro del caos, uno è spento, l’altro è attivo. Il popolo giapponese è più silenzioso del siciliano. In scena ho previsto 8 danzatori che rappresenteranno il silenzio, ma anche il caos del corpo, il bollire della lava. E poi 3 meravigliosi musicisti, con l’uso dei tamburi giapponesi. Debutterà a maggio dell’anno prossimo. Insomma lavoro sulle suggestioni. Del resto, ho realizzato ormai quasi 90 creazioni, non ho mai raccontato una storia, ma messo in movimento emozioni e quindi la fantasia del pubblico. Calabrò dice che parto dal cuore e poi vado alla testa. Non mi interessa far comprendere le emozioni, ma far emozionare. Sono molto istintivo, e questa è una delle caratteristiche del MoDem. Lo scrivo anche nel mio libro “Omnia Corpora”. Esigo l’istinto dai miei danzatori, poi tutto il resto, ovviamente un istinto studiato ed elaborato».

Figli diretti di questo manifesto – che strappa il cuore alla grammatica emozionale permettendole di straripare tra le anime che giacciono tra gli spalti – sono la Compagnia Zappalà Danza e Scenario pubblico. La prima parte nel 1990 sotto un’altra denominazione: “Balletto di Sicilia”, diventata quasi subito Compagnia Zappalà, e improntandosi sempre più sull’ideologia creativa del suo fondatore. «Trent’ anni fa la parola danza non era facile da pronunziare al Sud Italia, era qualcosa di strano. Oggi Catania è una grande città, dove c’è la cultura della performance e della danza contemporanea che anche attraverso noi si è evoluta ed è entrata dentro il pensiero del popolo. E su Scenario pubblico abbiamo cercato a lungo un luogo speciale, che è ormai la casa della danza, aperta ad altri artisti. È essenzialmente la casa della nostra compagnia».

Nel 2013 diventa centro di produzione nazionale per la danza e poi nel 2022 la nomina a CRID (Centro di Rilevante Interesse Nazionale per la Danza). «Per noi non è cambiato nulla. Mi sento però una responsabilità maggiore, essere considerato dal ministero e dunque costruire altre prospettive di dialogo sia con gli operatori sia con il pubblico». La ricchezza di sfumature, le dinamiche anatomiche, le composizioni tribali e geometriche (una geometria sempre lontana dall’assioma) si spingono nel corso degli anni sull’orlo del primordio, della pura estasi tradotta in carne mossa, un terremoto di materia che tracolla anima e spirito. Gli spettacoli proposti da Zappalà esplodono tutti in questa direzione: Kristo, la Giara, Rifare Bach, Panopticon (il teatro igienico). I danzatori modificano tempo e spazio, creano nuova dimensione, gli spettatori vivono una realtà immersiva ma privi di caschetto virtuale. Ultimo lavoro che ha debuttato al Maggio Musicale Fiorentino lo scorso maggio è la Trilogia dell’estasi (L’Après-Midi d’un faune|Bolero|Le sacre du printemps). «Prossima replica a settembre, a Milano dove faremo 2 date. Poi a Catania al Bellini con 7 repliche e orchestra dal vivo. Quindi la tournée in Italia, con una produzione molto grande. Pensavo a questo progetto da circa dieci anni. Dovevo avere un’idea precisa. Un giorno passeggiando, ho visto una pubblicità e da lì ho capito cosa volevo fare. Nello mi ha dato subito lo spunto. I tre lavori hanno dentro il sacrificio, l’esibizione dei propri corpi, il sentirsi protagonista, l’erotismo. Metto in scena il sacrificio di tutta l’umanità».

Navigazione EditorialeEstate da brividi con il reggaeton vichingo >>Giovanni Del Monte: un marziano a Roma >>

Autore

  • Davide Speranza

    Narratore e giornalista. Diplomato al Master in Editoria Giornalismo e Management Culturale all’Università de “La Sapienza” (a pieni voti, con una tesi sul caso editoriale dello scrittore Raymond Carver). Studia Ufficio Stampa e Pubbliche Relazioni presso la COM2 e consegue il Master SEMA (narratologia, drammaturgia e editoria) al Suor Orsola Benincasa di Napoli. Diventa giornalista pubblicista (laCittà, Il Mattino); addetto stampa di enti e gruppi culturali, organizzatore di eventi e curatore di rubriche radiofoniche (“La Meglio Gioventù”, “Italian Rhapsody”). Ha collaborato con la piattaforma Federica.EU Centro Weblearning d'Ateneo Federico II di Napoli. Scrive per riviste d’attualità e cultura. Soggettista e autore del corto “La tela del ragno” e del docuclip “Djelibit”. Fondatore del collettivo di comunicazione METAFORA. Ha scritto storie a fumetti e monologhi per il teatro. Per la narrativa ha pubblicato “Mazza n°8” sulla rivista di RAI ERI; “Lo Ziqqurat” sulla rivista letteraria Inchiostro; “L’uomo che seguiva il riflesso della luna” per Progettocultura di Roma; "Anche i piccioni muoiono" è finalista al Premio Letterario Internazionale Nova Sociale; pubblica nell’antologia di Historica Edizioni il racconto "Il culo del mondo". Sceneggiatore per tour culturali in Realtà Aumentata, redattore case editrici, storyteller del Museo didattico della fotografia MuDiF, dell'Afi-Falaut e della compagnia Artenauta. I suoi “fuochi” sono la lettura e la scrittura. Ama il teatro e il cinema. È convinto che il caos sia l’anticamera della soluzione.

    Visualizza tutti gli articoli
Questa voce fa parte 1 di 80 nell'editoriale Il Novelliere 14

0 commenti

Invia un commento

Davide Speranza

Narratore e giornalista. Diplomato al Master in Editoria Giornalismo e Management Culturale all’Università de “La Sapienza” (a pieni voti, con una tesi sul caso editoriale dello scrittore Raymond Carver). Studia Ufficio Stampa e Pubbliche Relazioni presso la COM2 e consegue il Master SEMA (narratologia, drammaturgia e editoria) al Suor Orsola Benincasa di Napoli. Diventa giornalista pubblicista (laCittà, Il Mattino); addetto stampa di enti e gruppi culturali, organizzatore di eventi e curatore di rubriche radiofoniche (“La Meglio Gioventù”, “Italian Rhapsody”). Ha collaborato con la piattaforma Federica.EU Centro Weblearning d'Ateneo Federico II di Napoli. Scrive per riviste d’attualità e cultura. Soggettista e autore del corto “La tela del ragno” e del docuclip “Djelibit”. Fondatore del collettivo di comunicazione METAFORA. Ha scritto storie a fumetti e monologhi per il teatro. Per la narrativa ha pubblicato “Mazza n°8” sulla rivista di RAI ERI; “Lo Ziqqurat” sulla rivista letteraria Inchiostro; “L’uomo che seguiva il riflesso della luna” per Progettocultura di Roma; "Anche i piccioni muoiono" è finalista al Premio Letterario Internazionale Nova Sociale; pubblica nell’antologia di Historica Edizioni il racconto "Il culo del mondo". Sceneggiatore per tour culturali in Realtà Aumentata, redattore case editrici, storyteller del Museo didattico della fotografia MuDiF, dell'Afi-Falaut e della compagnia Artenauta. I suoi “fuochi” sono la lettura e la scrittura. Ama il teatro e il cinema. È convinto che il caos sia l’anticamera della soluzione.

Scopri di più da Il Novelliere

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continue reading