DA IO CAPITANO A GIFFONI, SOGNARE NON HA COLORE

Editoriale

Luglio 21, 2024

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La traversata nel deserto con il sole che picchia forte, come bestie sopra bolidi a quattro ruote lasciandosi alle spalle l’odore di famiglia e di casa e di quei corpi che, sbalzati per terra dalla stanchezza o da qualche infame dosso, restano lì a bruciare per sempre. E poi i pianti, le ferite, la fame, la sete, la prigione, le torture e il danaro da trovare a qualsiasi costo, e condizione, per pagare alla propria vita la ‘libertà’ di mettere piede sopra barconi e gommoni e chissà cos’altro con l’acqua del mare che non di rado, gelida e tormentata, finisce per inghiottirla nel suo ventre. È storia di tutti i giorni. Accade lontano dai nostri occhi ma non dai nostri cuori. È quella illusione della distanza che i giffoner della sezione Impact, durante la terza giornata di festival, hanno attraversato insieme a Seydouu Farr e Moussa Fall, i due giovani senegalesi protagonisti del pluripremiato film Io Capitano di Matteo Garrone. Pellicola con cui il regista italiano ha acceso i riflettori sulle vicende dei migranti africani illuminandone gli angoli sconosciuti o peggio ancora ignorati. “Siamo felici di essere a Giffoni per incontrare e parlare con persone della nostra stessa età di una storia che appartiene non solo al popolo africano ma all’intera umanità. Questo film è un controcampo sulla realtà. Una realtà drammatica e complessa della quale si vede solitamente la coda, l’arrivo cioè delle imbarcazioni nelle acque del Mediterraneo. C’è invece molto altro. Troppo, altro”. Seydouu ha diciannove anni e voleva fare il calciatore. Moussa ne ha ventuno e già sognava di recitare. “Siamo grati a Garrone, un maestro, per questa straordinaria opportunità” sottolineano all’unisono. “Ha creduto in noi dal primo momento e sul set ci ha guidato lasciandoci anche la libertà di improvvisare. È stato tutto incredibile. Fatichiamo ancora a crederci”. Per Moussa, in particolare, la realtà si palesa davanti agli occhi al Festival di Venezia “quando per la prima volta ho visto il film sul grande schermo. Mi sono emozionato, ho pianto tanto. Sono fiero perché ha mostrato per intero la realtà dei migranti. Ha mostrato il volto fraterno e solidale degli africani. Ha mostrato tutto, tutta la realtà”. Sydouu e Moussa hanno pudore a raccontare e raccontarsi. Ma sanno – e sentono- che è giusto farlo per chi quel viaggio della speranza poi diventato viaggio di morte lo ha vissuto per davvero. “Fare questo film è stato in un certo senso come essere al loro fianco. È come se anche noi fossimo partiti. Ne abbiamo avvertito il dolore, la sofferenza, la tragedia. Ancora oggi ne sentiamo la responsabilità. Siamo orgogliosi di aver dato voce alla loro storia”. Ma la strada non è sempre stata in discesa. “Ci sono stati momenti difficili durante le riprese in cui avrei voluto mollare tutto” confessa Seydouu. “Se non l’ho fatto è grazie a mia madre e mia sorella. A mia madre, tra l’altro, sono grato anche per avermi trasmesso la stessa passione per la recitazione che aveva da giovane”. Moussa tira fuori un aneddoto simpatico e significativo: “Mi sono iscritto ai casting senza sapere di cosa trattasse il film. Quando sono arrivato sul set ho trovato dei panni sporchi da indossare. Mi sono detto: Cos’è questa roba? Quando ho capito che si sarebbe parlato di migranti ce l’ho messa tutta per rendere onore a quanti sono partiti e continuano a farlo, a quanti non sono mai giunti a destinazione. C’ho messo il cuore. Lo stesso cuore che ci mettono queste persone”. Per lui la scena più difficile da girare è stata “quando sono stato diviso dal mio compagno di mio viaggio per essere portato in prigione. Ho pianto come se fosse vero” ammette cedendo poi la parola all’amico: “Mio padre è morto anni fa tra le mie braccia. Quando nel film ho dovuto girare una scena simile non è stato per nulla facile”. Il film Io Capitano ha fatto tappa anche in Senegal. Per Sydouu e Moussa è stato un dono indimenticabile: “Garrone ha voluto che venisse proiettato nei villaggi. La gente piangeva e si abbracciava. È stato molto intenso. C’erano anche le nostre famiglie. Alcuni ragazzi si sono avvicinati per dirci che, pur avendo voglia di conoscere altre parti del mondo, non sarebbero più partiti a quelle condizioni”. Il tema dell’edizione numero 54 di Giffoni è l’illusione della distanza. “Quando testa e cuore non sono collegate tra loro si perde il controllo delle cose creando una profonda distanza dalla vita” riflette Moussa, a voce alta e cuore aperto. Nella sala Blu della Multimedia Valley le emozioni sono forti. E tante. Come gli applausi che accompagnano la consegna del premio Impact Award ai due attori senegalesi. “Siamo tutti esseri umani. E tutti dobbiamo essere liberi di viaggiare, scoprire, conoscere il mondo. Di sognare. Per il popolo africano non basta comprare un biglietto per farlo. Per farlo deve soffrire la fame, la sete, il freddo, piangere, piangere tanto. Sognare, però – concludono Sydouu e Moussa “non ha colore”.

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