Il documentario di Peter Jackson su gli ultimi giorni dei Beatles – su Disney+
“Mastica e sputa/da una parte il miele/mastica e sputa/dall’altra la cera”
A vedere i 360 minuti, concentrati in 3 episodi, nei quali Peter Jackson condensa 60 ore di video e 150 ore di registrazioni audio (quelle nel gennaio del 1969, girate e registrate da Michael Lindsay-Hogg, il regista di Let it be) vengono in mente questi versi di Fabrizio De Andrè.
Il regista neozelandese, che già era riuscito nell’opera di smontare e rimontare un fenomeno della letteratura mondiale – da milioni di fan sfegatati ritenuto intoccabile – come il Signore degli anelli, si cimenta in un’impresa ancor più ardita e ancor più rischiosa: metter le mani su un materiale radioattivo e letale come un gas venefico come quello riguardante gli ultimi giorni dei Beatles. A voler quasi indagare sulle ragioni della caduta dell’Impero romano.
Svolge questo lavoro, come fosse il diario di bordo di una lunga traversata oceanica: 22 giorni di tormentata navigazione.
Giorni 1-7
I Beatles sono ai Twickenham Studios, per quello che inizialmente doveva essere uno speciale televisivo sulla registrazione del loro prossimo album, che precederà uno spettacolo dal vivo in un luogo da definire. Yoko Ono è costantemente presente in studio, in un’occasione si unisce al gruppo e canta. C’è tensione, si rivelano problemi nella motivazione e nel processo di collaborazione dei membri della band, George Harrison lascia improvvisamente il gruppo.
Giorni 8 -16
Le prove riprendono nell’incertezza sul futuro della band. Si riappacificano con George Harrison, dopo aver escluso l’esibizione dal vivo. Fa la sua apparizione negli studios l’attore Peter Sellers, dopodiché si trasferiscono nello studio della Apple Corps in cui l’attrezzatura non sembra essere all’altezza degli standard di qualità richiesti da Glyn Johns, ingegnere del suono e co-produttore delle sessioni. Billy Preston, un musicista incontrato dal gruppo ad Amburgo, si unisce alle sessioni al piano elettrico.
Giorni 17 – 22
I Beatles continuano a registrare. McCartney continua a sperare che la band si esibisca dal vivo. Alla fine, il penultimo giorno, si esibiscono in un concerto senza preavviso sul tetto dell’edificio dell’Apple Corps. Dopo la performance, procedono a registrare in studio le tracce rimanenti per l’album Let It Be.
Insomma, Jackson, mastica un nucleo nero con un peso atomico elevatissimo, rappresentato dalle testimonianze audio e video del suo predecessore. Per sputare, in una sorprendente nitidezza di immagini digitalizzate, i 22 giorni durante i quali i fab four crearono quasi dal nulla le 12 canzoni del loro ultimo album, che precedettero la loro ultima esibizione dal vivo sui tetti di Londra.
Sono i giorni in cui Lennon, arriva fischiettando un motivetto che poi diventerà Get back, quelli in cui Ringo accenna alle note di Octopus’ s Garden e George lo aiuta a completare la canzone. Sono i giorni in cui George se ne va arrabbiato e possiamo sentire John e Paul rammaricarsi di non avergli mai concesso il sufficiente spazio. I giorni in cui, tra il fumo di mille sigarette, la presenza di Yoko Ono è tanto silenziosa quanto grave, come un totem millenario.
Ma, a dire il vero, le tensioni, le rivalità, le divergenze e le discussioni, evaporano quando nell’ultima mezz’ora li vedremo suonare sui tetti di una grigia Londra di fine gennaio. Gli sguardi tesi diventano sorrisi, complicità, intesa, piacere di suonare insieme. Il tutto, a dispetto dei due policeman, inviati là per intimargli di smettere per disturbo della quiete pubblica.
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