Da Baronissi alle collaborazioni internazionali: Stefano Santoro vola in alto con la sua arte
Una firma, un tratto distinguibile, potente, manifesto di una sensibilità fuori dal comune. Parliamo di Stefano Santoro, aka McNenya, classe 1984, artista salernitano che cresce artisticamente in strada, iniziando ad appassionarsi alla spray art da giovanissimo, per poi lanciarsi alle collaborazioni internazionali attraverso l’evento OverlineJam, di cui è uno degli organizzatori, e che ancora oggi si svolge nel mese di luglio a Baronissi.
Le sue opere ricalcano una filosofia che si basa sulla convinzione che l’arte sia uno strumento per stravolgere i canoni della vita terrena anche dal punto di vista cromatico, con messaggi di grande impatto a sfondo sociale come ambiente, bullismo, femminicidio, parità di genere e legalità.
Dal 2021 crea OpenLAB, il proprio laboratorio, con sede a Baronissi, e spazio espositivo associativo, diventato punto di incontro e confronto tra vari artisti della scena artistica urbana sia italiana che estera.
Qual è il significato dietro il suo nome d’arte?
Il mio nome d’arte nasce da un mix di varie culture urbane. Mc sta per Master of Ceremonies, nel mondo urban e hip hip sarebbe il “paroliere”. Io ho voluto dargli una chiave non prettamente musicale ma artistica. Da “colui che ci mette le parole” a “colui che ci mette i colori”. Nenya, invece, ha un valore più affettivo e personale, è una dedica a mia figlia.
Come si è avvicinato alla spray art?
La prima volta che ho conosciuto da vicino questo mondo avevo 13 anni. Tramite un amico che già dipingeva, già era nel mondo della street art, ho iniziato ad appassionarmi al genere, comprando le prime riviste di settore, al tempo introvabili. Negli anni ho scoperto che quello era il mio strumento di esprimere l’arte. Il disegno è stato da sempre la mia passione. Ho avuto la fortuna di nascere e crescere a Baronissi, città che ha una grande cultura in termini di street art e lì ho iniziato ad usare gli spray e a conoscermi di più. Sicuramente gli anni a Milano hanno contribuito alla mia crescita ma se sono quel che sono lo devo anche e soprattutto alla mia città e ad Overline.
Chi sono i suoi artisti o movimenti artistici di riferimento e come hanno influenzato il suo stile?
Non c’è stata una vera e propria influenza ma ho sempre preso ispirazione da artisti ben più grandi di me. Ho sempre trovato molta affinità artistica con la corrente del dadaismo. Se proprio dovessi farvi dei nostri vi direi: Keith Haring, Basquiat, Mirko Loste, Vesod e Dado.
Portando la sua arte in giro per l’Italia ha potuto “testare” le sensibilità legate all’arte visiva urbana lungo lo stivale. Ha notato differenze tra le varie città in cui hai lavorato?
Sicuramente concettualmente in Italia c’è grande interesse per l’ambiente. Non ho trovato su questo tema grandi differenze tra le varie città Italiane, ci sono sicuramente comuni dove sono più attenti alla rigenerazione urbana. Se dovessi farvi una differenza tra Nord e Sud, direi che al Nord hanno colto di più il messaggio che può generare l’arte urbana come mezzo di divulgazione o di denuncia.
Ci parli della sua ultima opera: un altro lavoro di denuncia, questa volta nella sua città, e che si colloca all’interno di un progetto più ampio.
“Green Revolution” è stata un’opera voluta fortemente da Toyota Italia che ha affidato a Retake Roma, associazione Nazionale, sette opere da realizzare in giro per l’Italia. Io, in collaborazione di Giuseppe Di Martino, in arte Amed, ne abbiamo realizzate due: una ad Arezzo e una a Salerno. Sicuramente creare un progetto così grande nella mia città è stato un onore. Tutte e sette le opere hanno un filo conduttore: l’obiettivo è sensibilizzare le persone a prendersi cura di questo pianeta dove abbiamo il privilegio di vivere. Pianeta che spesso diamo per scontato, che bistrattiamo come se avessimo un’alternativa.
Quali difficoltà ha riscontrato nel portare a termine il progetto?
Difficoltà tecniche nessuna. Sicuramente c’è stata difficoltà nel trovare lo spazio adatto dove realizzarlo. Come dicevo prima, il Sud ancora ha tanti passi da fare per capire che opere come queste possono essere un mezzo di comunicazione potente. Quindi, non è stato facile trovare un muro disponibile e in questo non c’è stato il giusto supporto dall’amministrazione locale. Abbiamo perso qualche giorno utile di lavoro ma l’opera, alla fine, è stata realizzata in poco più di una settimana senza grandi problematiche.
Come si approccia a un nuovo lavoro? Ci descriva il suo processo creativo.
Dipende molto dai lavori. Sono una persona molto istintiva e nella maggior parte dei casi le persone mi danno carta bianca. Hanno un’idea ed un tema. Parto da questo e conta moltissimo lo spazio, la forma del muro. Da quel momento in poi l’ispirazione ed il disegno di base nascono all’improvviso, ragiono più con l’istinto. Basta una canzone, uno sguardo o anche solo un’immagine ed il mio cervello va in automatico.
Dove la vedremo nuovamente all’opera?
In questo momento sono concentrato sulla realizzazione della nuova edizione di Overline Jam a Baronissi. Nelle ultime settimane ho realizzato diversi murales in collaborazione con Eni e con una squadra di rugby. Sto lavorando ad un lavoro senza commissioni sul genocidio in Palestina. Questi temi per me sono importanti, quando scoppiò la guerra in Ucraina non c’ho pensato due volte ad andare sul confine ucraino e realizzare un’opera in segno di Pace. Quel che sta accadendo a Gaza è motivo di rabbia e sofferenza ed è inevitabile che da queste emozioni così forti possa nascere un’opera di denuncia.
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