Il progetto appena cancellato si inserisce nel filone dei mai realizzati
La storia del cinema è scandita da una moltitudine di eventi, di ideologie, di incontri/scontri, di aneddoti e di vicissitudini. All’interno di una storiografia sul cinema, dove il caos della macchina produttiva, dei rapporti umani, degli eventi culturali e delle rivoluzioni di ogni genere risultano come aspetti influenti e determinanti, si intreccia una microstoria curiosa ed affascinante di opere filmiche mai realizzate.
Tale dinamica è pressoché consuetudine dentro il mega-processo dell’industria, perché nelle case di produzione e di distribuzione internazionali, oltre che nei mercati, una sceneggiatura, un progetto, un film vengono trattati in maniera consumistica; come se fossero degli abiti che possano essere messi in commercio o meno, a seconda di valutazioni opinabili e scelte di business.
Il filone naturalmente si fa più intrigante all’occhio dell’opinione pubblica, quando potenziali opere di grandi menti, di quella specifica arte, non vengono per motivi disparati realizzate o comunque non distribuite alla massa.
L’ultimo celebre esempio, che si inserisce in una lista lunga e duratura quanto tutta la storia della settima arte, è quello del famigerato decimo film di Quentin Tarantino. La mitizzazione del decimo del cineasta americano è data dal fatto che, come da egli annunciato più volte, dovrebbe essere l’ultimo. I fan da anni si chiedono quale sarà l’ultima fatica della carriera, o comunque su cosa si potrebbe incentrare.
I followers più accaniti dell’autore – oltre che i critici cinematografici – hanno ipotizzato che tipo di film potesse produrre come ultimo, tra gli altri, per tre motivi in particolare: l’uscita del libro autobiografico-saggistico Cinema Speculation (la nave di Teseo, 2023) ha confermato una voglia di Tarantino di soffermarsi sulla critica; l’uscita del libro sottolinea anche una propensione per una futura carriera nel mondo della letteratura. Infine, i grandi cineasti, compreso autori che anch’egli ama ed emula da sempre, hanno chiuso il sipario con film caratterizzati dal tema del meta-cinema (il cinema sul cinema).
In effetti tutto ciò diviene una sorta di prolessi, dato la notizia che il prossimo ed ultimo film di Tarantino sarebbe stato “The Movie Critic”. Opera con protagonista un critico che scrive per una rivista pornografica, ambientata nello stesso decennio del film personale che gli sta più a cuore: C’era una volta a Hollywood (2019).
A questo film avrebbero partecipato tutti gli attori-feticci e non solo, che lo hanno accompagnato nella brillante carriera: da Samuel L. Jackson a John Travolta, fino all’ultimo tanto amato Brad Pitt e addirittura, secondo un’ipotesi, la new entry Tom Cruise. Tutto pronto, tutto affascinante, tutto intrigante per l’ultima opera dal tema a lui più caro, dall’ambientazione a lui più vicina, dal cast e dai collaboratori a lui più congeniali.
Un fuoco di paglia. Lo scorso 17 aprile è uscita la notizia che Tarantino avrebbe abbandonato il progetto The Movie Critic e che avrebbe poi chiarito in seguito i programmi futuri. Non si sanno ancora nello specifico le motivazioni: produttive, un semplice ripensamento oppure la voglia di prendersi ancora del tempo e capire se abbandonare realmente il cinema dopo il decimo.
Così The Movie Critic entra in un mondo aleatorio, immaginifico, in un mondo che è presente soltanto nella mente dell’autore, degli addetti ai lavori, del pubblico pensando al cast, ai personaggi, alla storia e all’ambientazione. Molti direbbero che anche così un’idea vive e si sviluppa, si amplia e si evolve, però il cinema ha abituato troppo bene, perché il fascino e la potenza di tramutare i pensieri in immagini è forte, è come un’esigenza che oramai la società identifica come pane quotidiano, come uno stimolo base dell’attività umana.
Si diceva all’inizio di questo scritto che tanti sono i casi di opere incompiute di brillanti menti. Recentemente Gian Carlo Giannini (presente all’ottava edizione del premio Leonardo a Giffoni Valle Piana, in provincia di Salerno, nella sala Truffaut del Giffoni Film Festival), durante l’excursus sulla sua prestigiosa carriera, ha dichiarato di aver toccato con mano una sceneggiatura di un film su San Paolo mai realizzato da un magister come Pier Paolo Pasolini.
Il recente Napoleon (2023) di Ridley Scott ha dietro di sé un aneddoto particolare, perché Stanley Kubrick non è mai riuscito a realizzare tale film su una figura che sempre ha adorato e su di un periodo storico che è riuscito a raffigurare con un senso estetico ai limiti della perfezione in Barry Lyndon (1975).
Orson Welles annovera tantissimi progetti mai realizzati, vuoi per il suo carattere roccioso e per i rapporti intricati con le major hollywoodiane. Tra gli altri, considerato l’amore per lo scrittore inglese William Shakespeare sia un film su King Lear, su The Tempest e ancora più iconico un adattamento invece di Cuore di Tenebra di Joseph Conrad. Nel 2018 il caro amico Peter Bogdanovich ha finito di realizzare – grazie anche alla partecipazione di Netflix – un’opera da lui iniziata al tramonto della vita, ossia The Other Side of the Wind (per l’appunto un film dal plot meta-cinematografico).
Un altro che non ha avuto poche magagne con l’industria cinematografica è stato Alfred Hitchcock, uomo dalla scorza dura come il collega americano Welles. Hitchcock era un autore così orgoglioso e così protettivo verso i suoi progetti, che addirittura – come molti sanno – ha ipotecato la casa pur di realizzare e completare Psycho, uscito nel 1960 (un azzardo a posteriori geniale).
Il maestro del giallo e del thriller non è riuscito mai a realizzare Kaleidoscope, un adattamento di un fatto di cronaca avvenuto in Inghilterra su due serial killer. Troppo rischioso per l’epoca casta in cui viveva (uno dei grandi paletti del cinema soprattutto nella prima fase della sua storia, sia in ambito politico, sia sul tema del buon costume, è stata la censura; se si pensi ad esempio, che Lolita dello stesso Stanley Kubrick è abbastanza diverso da come egli lo pensava originariamente), non se ne è fatto più nulla.
Tanti casi, tanti soggetti, tanta arte incompiuta e gettata al vento, perché questa microstoria di titoloni – che tali resteranno – dimostra come la dinamica produttiva e quella meccanica all’interno appunto di un’arte meccanica e capitalistica, condizionino e non poco le idee, le logiche meramente creative.
The Movie Critic di Quentin Tarantino è l’ennesimo rimpianto, un altro segmento della storia al contrario, un ulteriore cinefact, l’ultimo curioso caso di una consuetudine che non finirà mai, di un amaro in bocca che gli autori e il pubblico avranno sempre, perché il cinema è la casa dove tutto è possibile ma non tutto è realizzabile.
Il cinema attraverso la convivenza – in alcuni casi scomoda – tra creatività e mercato crea un mondo caotico come poche altre arti, e il caos scatena illogicità, irrazionalità, contraddittorietà. Il cinema è un’arte umana, intesa come arte che è soggetta alle dinamiche prettamente umane di chi ne fa parte, e di chi giostra il giocattolo a suo piacimento; intesa inoltre, anche come arte che riflette la realtà che lo circonda, la società in cui si identifica, e gli aspetti positivi, negativi e inspiegabili dell’essere umano.
L’incompiutezza è parte integrante della storia dell’umanità su tutti i fronti; quindi, lo è necessariamente nel contesto di finzione di un artefatto creato dall’uomo a sua immagine e somiglianza, a suo desiderio e sua creatività. L’incompiutezza è su tutti i livelli e scalpita nella quotidianità del processo cinematografico: da giovani autori che non trovano finanziamenti e produttori per i progetti; da lavori avviati che devono mutarsi od annullarsi; fino ad autori celebri e geniali che cambiano idea su di un prodotto, o che per molteplici incastri non riescono a realizzare un potenziale capolavoro.
La storia di quel che poteva essere. La storia delle idee. Il libro dei non-film.
P.S. Quentin, non fare più uno scherzetto del genere!
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