Su Piero Ciampi, cantautore e poeta livornese

Un grande artista da ricordare

Piero Ciampi (1934-1980) è ormai considerato un poeta prestato alla canzone. Esiste oggi anche un premio in sua memoria.   In “Il Natale è il 24” scrive

“Ho una folle tentazione
di fermarmi a una stazione,
senza amici e senza amore.”

Spesso nei versi delle sue canzoni troviamo immagini che raffigurano la sua condizione di estraneità. Come a dire che la realtà gli dà sempre scacco matto, ma lui se ne accorge subito, appena iniziata la partita. Ma Ciampi è anche un osservatore acuto della realtà sociale ed economica dell’Italia del tempo. In “Andare, camminare, lavorare” scrive

“la Penisola in automobile, tutti in automobile al matrimonio, alè, la Penisola al volante, questa bella Penisola è diventata un volante”.

Piero Ciampi ha una fisionomia particolare. È alto e magro, ha il volto scavato ed è sempre spettinato. Ha la voce roca e inconfondibile, che ti giunge diretta come un pugno in faccia e ti dice cose che avevi lì sotto il naso e di cui non ti eri minimamente accorto. E’ uno scomodo il nostro cantautore: dice sempre quello che pensa e fa sempre quello che dice. È amico degli scaricatori di porto come degli intellettuali (ricordiamo ad esempio Alfonso Gatto, Alberto Bevilacqua, Carmelo Bene). In una delle sue canzoni più celebri, ovvero “Ha tutte le carte in regola” scrive

“vive male la sua vita
ma lo fa con grande amore”.

Questi due versi riassumono efficacemente l’esistenza di Ciampi: un’esistenza travagliata e votata all’autodistruzione. Le due cose che non lo abbandoneranno mai nel corso della sua vita sono la chitarra e la bottiglia di vino. Perderà alcuni amici nel mondo della canzone perché non è avvezzo ad accettare alcun tipo di compromesso, a fare canzonette commerciali. L’antipatia sarà reciproca perché quel mondo poi ricambierà l’alterigia di Piero Ciampi con l’ostracismo artistico, che lui in parte si era cercato, osteggiando il successo e la fama nazionale in ogni modo. Finisce così in povertà.  Lui stesso ammette che in vita non ha mai avuto nella stessa sera i soldi per un taxi, una donna, del vino, due uova al tegamino. Sempre a proposito della sua voglia di annientarsi in una delle sue prose scriverà

“non c’è uomo al mondo che conosca il nichilismo e l’anarchia come me”

e a riguardo della consapevolezza dei rischi della sua condizione scrive

“Esistono varie possibilità di salvarsi, per uno come me. L’ultima è lo scrivere”.

Eppure tra gli eccessi dell’alcol e i suoi vagabondaggi senza meta riesce sempre a tenere la penna in mano e a scrivere canzoni e poesie. Le sue poesie sono brevi, concise, taglienti. Probabilmente le scrive in stato alterato di coscienza, quando è totalmente ubriaco. Sono appena qualcosa di più di annotazioni.  Altro particolare è che sono piene di varianti. Le spezzetta e le rimonta continuamente, cercando sempre un assetto definitivo, che raramente trova. Nelle sue 235 poesie troviamo felici intuizioni, piccole illuminazioni sull’assurdità della vita. Nella raccolta “Canzoni e poesie” questi versi esprimono un grande paradosso dell’esistenza:

“Quanta gente
d’intorno
che non ci ama.
Gianni
quanta gente
che ci ama
e non può raggiungerci”.

Nella raccolta “Ho solo la faccia di un uomo” Ciampi dà una definizione suggestiva dell’essere poeta:

“Il poeta
è
un’elegantissima
anima
che va a cena
sulle stelle”.

Sempre nella stessa raccolta sono presenti questi versi, che esprimono la compostezza e la dignità del suo dolore:

“Questi miliardi di finestre
con le luci accese
sono miliardi di visi
nascosti da un muro.
Non potremmo permetterci
di piangere
perché
non siamo soli”.

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