La dark wave dei Dperd che lacera il cuore

Editoriale

Maggio 4, 2024

La formazione sicula sforna un disco dal taglio internazionale

Choices è il nuovo lavoro dei Dperd: duo musicale siciliano, formato da Valeria Buono (voce) e dal polistrumentista Carlo Disimone, che sa mescolare le pulsioni dark wave con il dream pop e, in questo caso, anche il jazz. Ne parliamo proprio con Disimone, per scoprire questo universo pieno di malinconia e amore.

Il vostro è un lavoro dal taglio internazionale che si distacca dalla decadenza del precedente Monsters. Come è avvenuto questo cambiamento?

Beh, se trovi diverso “Choices” da “Monsters”, lo troverai ancora più diverso dagli album precedenti. Il cambiamento fa parte della vita, è il corso naturale delle cose. Io credo che in fondo, musicalmente non siamo cambiati più di tanto. Io dico sempre a chi mi chiede che musica suono: faccio Dark Wave. È vero sono cambiati alcuni suoni, soprattutto di tastiere. Ho introdotto il mellotron. Abbiamo introdotto spruzzate di tromba qua e là e abbiamo ridotto la durata delle song, a causa del fatto che Valeria non sopporta più i brani lunghi. Alla fine, la cosa che mi fa felice è che abbiamo un nostro stile e soprattutto un nostro sound riconoscibile tra mille.

Chi vi segue dagli esordi non potrebbe trovarsi spiazzato, mentre potreste acquisire nuovi adepti con questo nuovo sound?

Mi spiace dirlo, ma facciamo musica per noi stessi, perché ci piace farlo e ci diverte. Non ho mai pensato a cosa potesse pensare un ipotetico ascoltatore, né tanto meno che qualcuno potesse storcere il naso o criticare un’inevitabile evoluzione. Sono convinto che chi ci segue da tanto tempo sia pronto ad ascoltarci anche in una veste, diciamo, meno etichettabile.

Quali sono i pezzi più rappresentativi del disco che, magari, potrebbero fare breccia anche all’estero?

Non ne ho idea. Abbiamo preferenze diverse, divergenze di gusti ed opinione anche tra noi due. Mi capita di parlare con ascoltatori della nostra musica, ogni tanto, e ognuno ha i suoi brani preferiti. Tutti hanno opinioni diverse e questo è fantastico, ma una cosa è certa e sempre costante, quella che in molti ascoltano l’album per intero; per noi questa è fonte di immensa gioia in quanto siamo ancora legati al concetto di album e non di singoli come purtroppo oggi va molto di moda.

Il vostro è un viaggio nei sentimenti dell’animo umano che implica delle scelte.

Certo le scelte sono inevitabili. Siamo quello che siamo per le esperienze che abbiamo avuto durante l’arco della vita e anche per le scelte che abbiamo fatto e che continuiamo a fare. Sono un tipo che tende a recriminare su certe scelte fatte in precisi momenti della mia vita. Ho, però, la lucidità di considerare che non esiste la scelta giusta e che ogni scelta è sbagliata a posteriori.

Le atmosfere jazz e pop di alcuni brani le ritroveremo anche nelle prossime composizioni che state studiando?

Avevamo registrato dei brani che per una serie di circostanze fortunose, che non dico per non intristirmi, li abbiamo persi. Di più di uno non ho nessun promemoria e li ho persi per sempre. Adesso abbiamo in cantiere quelli di cui ho ritrovato gli appunti. Ovviamente hanno forma diversa da quando li avevo registrati la prima volta. Mi pare che stiano prendendo strade diverse, più space dream; è presto per dirlo. In realtà ritorno sui brani molte volte prima di andare in sala regia per il mixaggio.

Come recita il titolo del singolo, cosa rappresentano amore e libertà per voi?

Amore e libertà è una canzone che parla di un amore in crisi. Di come ci si possa allontanare all’interno di una coppia per avere ciascuno i propri spazi e come questa ricerca di libertà possa portare alla rottura dell’unione tra i due. Riuscire a coniugare la vita di coppia quando si è fondamentalmente individualisti non è cosa semplice.

Come si vive fregandosene delle mode e delle leggi di mercato?

Magnificamente. Siamo completamente al di fuori dal mondo musicale legato al mercato. Non abbiamo nessuna pressione da parte di Francesco di “My Kingdom Music”, la nostra label. Non si è mai lamentato del fatto che i DperD siano una band assolutamente di nicchia, troppo morbida per i giovani (che poi sono quelli che comprano di più) e per nulla pop per il mainstream. A noi va bene così. Non riusciremmo a fare diversamente anche volendolo.

Quanto è difficile portare dal vivo la vostra musica e avete mai pensato di portare la vostra musica su un palco?

La difficoltà di suonare live sta nel fatto che suonare dal vivo vorrebbe dire suonare e non fare karaoke con le basi registrate di supporto. Noi siamo un duo e un live vorrebbe dire ingaggiare almeno tre musicisti, con i quali provare e riarrangiare i brani (quando registro non penso mai a quante chitarre o a quante tastiere ci sono all’interno). Questo vorrebbe dire costi in termine di denaro e di tempo. Anche la location ha la sua importanza, non crediamo che la nostra musica sia adatta per essere eseguita nei pub, dove la gente va per svagarsi e divertirsi.

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