Gli innamorati di Sylvia: uno sguardo alla società inglese, fra lavoro e forza della Natura
Sulla fine del Settecento, in una città costiera dello Yorkshire, Sylvia conduce una vita semplice, senza avere grilli per la testa. Di umili origini, è molto amata dai suoi genitori e gode della fama di bella ragazza in un contesto dedito al lavoro e ai sacrifici. Monkshaven è infatti una città che vive del commercio della caccia alle balene: un’attività che scandisce la vita di tutti e che rappresenta il sostentamento di molti. Fino a quando non entra in gioco il reclutamento forzato nella Marina da parte del governo: l’imminente guerra alle porte crea squadroni che arruolano in maniera coattiva chiunque sappia stare su un’imbarcazione.
Tediata dalla corte noiosa di Philp, il cugino che lavora a bottega, in realtà il cuore di Sylvia batte per il ramponiere Charley Kinraid che, dopo averle strappato la promessa di un fidanzamento, scompare, catturato proprio dai reclutatoti. Una circostanza che avrà delle conseguenze pesanti nella vita della ragazza: credendo morto il suo innamorato, sopraffatta dalle avversità, dovrà rivedere il suo futuro. Ma la sorte, si sa, ha sempre un asso nella manica da sfoderare contro gli ignari giocatori e a fine partita Sylvia assaporerà i frutti amari della sua cieca fiducia.
“Gli innamorati di Sylvia” è stato l’ultimo romanzo compiuto da Elizabeth Gaskell, pubblicato per la prima volta nel 1863 e da poco riproposto, in una nuova veste grafica, dalla “Elliot Edizioni”. Il titolo non inganni, perché l’argomento trattato non sarà solo quello sentimentale. L’opera è infatti più complessa, con più sottostrati e con scelte tematiche diverse da quelle che ci si potrebbe aspettare. L’autrice, ancora una volta, si distingue nello scenario letterario dell’epoca per l’aspetto sociale che tratta nei suoi lavori. Non ci sono balli, ricevimenti e scambi frivoli dei salotti inglesi a cui ci hanno abituati i libri del pre e post Reggenza, né descrizioni di vite oziose di gentiluomini della campagna del Sud. L’accento nei suoi romanzi è sempre posto su aspetti che sue colleghe contemporanee ignorano o non trattano. Come era già accaduto con “Nord e Sud” anche qui l’economia, il lavoro, le responsabilità sociali fanno invece capolino nelle vicende più comuni senza mai guastare il romanzo, ma anzi rendendolo più autentico. Con la Gaskell si ha la possibilità di vedere l’altra faccia della medaglia di una società, quella inglese per l’appunto, che autrici di tutto rispetto come l’Austen, la Brontë e, più tardi la Heyer, hanno reso solo attraverso alcuni selezionati ambienti. Non qui: gli accenni su come mandare avanti una fattoria, la dura vita degli uomini in mare, le dinamiche del commercio e della struttura della società dell’epoca hanno un ruolo importante e decisivo.
Colpisce in questo romanzo come un argomento quale la caccia alle balene abbia un risvolto morale e sociale diverso da quello che noi oggi siamo abituati a vedere: nelle vicende di Monkshaven tutto ruota intorno a questo commercio che oggi noi aboliamo come sbagliato e crudele, ma che pure nel libro è la fonte di benessere di un’intera comunità. Sullo sfondo, poi, seppur defilate, le Guerre Napoleoniche, il reclutamento coattivo dei giovani marinai, la miseria e il lavoro della terra. E poi la Natura, quella selvaggia, quella quasi spoglia di paesaggi evocativi, ma viva, vera, autentica; una forza che risiede nel mare che dà vita, e se da una parte elargisce speranza dall’altra è anche angoscia per chi non restituisce ai propri cari.
Tutti colori di una tavolozza che la Gaskell rende con autentico realismo senza dimenticare le vicende umane, quelle fatte di sentimenti ed errori. Perché né Sylvia né gli altri escono davvero vincitori dalle loro scelte.
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