Il recupero di Stella Maris, tra arte, cultura e abusi
Cappelle e congreghe, le loro funzioni sociali, l’intrinseco status antropologico che ne accerta la funzione di documento edile storico. A Napoli sono tante le strutture religiose abbandonate. C’è chi riesce a salvarne alcune, si adopera per cercare fondi, svolge attività di ricerca e studio e immagina una nuova riscrittura degli spazi. L’associazione dei Sedili di Napoli, presieduta da Giuseppe Serroni, è riuscita a resuscitare la piccola chiesa Santa Maria Stella Maris e San Biagio dei Caciolli, nella piazzetta del Grande Archivio. A raccontare la storia è Giuseppe Serroni, che con la sua associazione (i Sedili erano il parlamento napoletano) sta cercando di salvare non solo le strutture sacre di Napoli, ma pezzi interi della sua storia.
Serroni, partiamo da Stella Maris. Da dove nasce questa struttura?
La prima chiesa della congrega si trovava nella zona di Piazza Borsa, dedicata a Santa Maria del Mare o a Mare. A fine Ottocento, l’edificio era ancora in Vico Stretto di Porto. Poi i confratelli comprarono un piccolo pezzo di risulta e edificarono questa chiesa che fu aperta nel 1907, sotto la direzione dell’ingegnere Gabriele Fergola. Attualmente la congrega proprietaria è quella di San Filippo Neri a Chiaia.
Queste associazioni religiose che funzioni avevano?
Sono laiche, riconosciute dalla chiesa, enti privati. Nascono nel Medioevo dalla tradizione napoletana della cura dei morti. Una funzione esistente anche nel periodo greco e romano. Nel Medioevo, accanto ai Sedili, nascono le Staurite, aggregazioni di nobili e popolani che curavano i defunti. Sotto le loro cappelle c’erano le terresante per i confratelli o persone in odore di santità. Le congreghe curavano i poveri e i derelitti. Adesso sono poche. Molte commissariate. Con la secolarizzazione si è persa la fratellanza, per cui sono state chiuse e con esse chiese e cappelle.
E Stella Maris?
L’abbiamo avuta in comodato d’uso, con impegno di poterla ricostruire. La chiesa era stata danneggiata. All’interno c’è un solaio abusivo e dobbiamo rimuoverlo. È risaputo che all’epoca queste cappelle venivano affittate, le attività commerciali vi realizzavano di tutto. Così, uno di questi commercianti ha inteso realizzare un solaio abusivo in muratura tagliando a metà la chiesa. La sagrestia è stata murata. Negli anni Quaranta dello scorso secolo la struttura era già stata dismessa. Altro abuso è stato perpetrato nella zona ipogea. Il problema è che i commissari delle congreghe spesso non hanno neanche conoscenza reale di ciò che è di loro proprietà. Nel caso nostro siamo riusciti a ricostruire la documentazione. L’abbiamo avuta in preaffido nel 2016, nel 2020 il contratto.
Si parla di neogotico. Come si presentava in origine?
La chiesa era abbastanza semplice, a navata unica, spoglia. Siamo riusciti a recuperare gli intarsi marmorei dell’altare maggiore. Sono intarsi fine Seicento, inizio Settecento, appartenevano all’antica cappella. Alla parte ipogea sotterranea si accedeva con scala in ferro. La muratura interna è di tufo. Vincenzo Di Fiore, esperto nel recuperare fondi, si sta impegnando in un progetto pubblico-privato. Siamo enti del terzo settore e possiamo godere del beneficio dei superbonus. Speriamo nel 2024 e nel 2025 di poter mettere mano ai lavori.
Qual è il collegamento tra la Madonna e il mare?
La Madonna del mare era una delle figure femminili da sempre venerate. Viene da Iside. Protettrice dei marinai. Questa cappella anticamente affacciava sul porto. In antichità c’era Demetra, collegata alla sirena Partenope. Napoli nasce dal mare, questa tradizione marinaia i napoletani la sentono dentro. Il mare ti dà da vivere, esistono ancora piccoli gruppi di pescatori. E poi qui c’è una continuità millenaria nel volersi affidare ad un ente superiore. Siamo l’unico popolo, insieme agli ebrei, ad aver sottoscritto un patto con il divino. Nel nostro caso con San Gennaro. Vuol dire che Napoli, come disse Curzio Malaparte, è l’unica città sopravvissuta al disastro, al diluvio universale. Lo vediamo nella forma urbis, la città Neapolis, il centro storico, il quartiere di Partenope, ha mantenuto le sue forme dal VI secolo a.C. fino ad oggi. La città non è mai stata abbandonata. Il popolo vive in quella struttura perché dopo tremila anni gli consente ancora di avere un rapporto naturale con la città stessa.
Prossimo step per il progetto Stella Maris?
Abbiamo l’idea di aprire la chiesa, mantenendola come luogo di culto, ma la sala è destinata a ospitare mostre, conferenze, piccoli concerti, nell’ipogeo faremo il museo etnografico Neapolis. Un museo virtuale.
L’altra cappella recuperata si trova su San Biagio dei Librai. Come vi state muovendo?
È la Cappella della congrega di San Michele Archangelo a Pistasi, dedicata a San Nicola a Pistaso, prende il nome dallo stenopos vicino, quello del Vicolo dei Panettieri con mulini panificatori. Nel 1660 fu edificata. Il preesistente Sedile dei Pistasi era in rovina, fu abbattuto per costruirci la chiesa. È in affido all’associazione Miracolo dei Borbone, presieduta da Francesco Marzanico. Hanno rifatto il tetto e la facciata. Diventerà un museo di arte presepiale. Noi dei Sedili stiamo dando una mano. Qui allestiremo a breve il presepe di Pasqua, tradizione andata perduta nel tempo.
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