Presentato a gennaio al Sundance Film Festival e nello stesso mese pubblicato su Netflix, “We Are The World: la notte che ha cambiato il pop” racconta di una piccola grande impresa: quella di riunire nel breve spazio di una notte, tante stelle del rock per uno scopo benefico, far loro superare gelosie, invidie e rivalità, per la registrazione di un brano, la cui musica e parole erano state scritte solo qualche giorno prima da Michael Jackson e Lionel Richie che ebbe anche l’onore, e soprattutto l’onere, di organizzare il tutto. È lui che chiama Quincy Jones per realizzare la concertazione e dirigere quella massa amorfa di artisti pop, rock, country. Fu invece Quincy a scrivere la famosa frase all’entrata della sala di registrazione: “Lasciate l’ego fuori dalla porta.”
Sapeva che il problema, quella notte, non sarebbe stato contare il tempo, correggere bemolle, aggiungere settime. Il vero cimento sarebbe stato rappresentato dal dirimere questioni, appianare conflitti, smussare gli spigoli di personalità del calibro di Steve Wonder, Ray Charles, Cindy Lauper, Paul Simon…
Nonostante la voce stanca di Bruce Springsteen reduce da una lunga tournée, nonostante l’imbarazzo di un Bob Dylan ad esibirsi in uno spazio ristretto gremito da tante persone, nonostante l’assenza di Prince ospite invitato e mai pervenuto, l’iniziativa fu un successo: “We are the world” divenne una canzone universalmente conosciuta e raggiunse il suo scopo. Del disco del brano, che il 5 aprile del 1985 più di 5.000 stazioni radio trasmisero contemporaneamente in tutto il mondo, solo negli Stati Uniti furono vendute oltre 8 milioni di copie. Un successo oltre l’Ego di ciascuno di quel manipolo di eroi che cantò per una notte intera.
E, a proposito di Ego, fu probabilmente anche, ma non solo, per spirito di emulazione che ad Harry Bellafonte venne l’idea di realizzare quell’impresa. Era indignato, il Re del Calipso, per il fatto che gli artisti afroamericani non avessero fatto nulla per aiutare gli etiopi. Infatti, solo qualche mese prima, il 25 novembre del 1984, dall’altra parte dell’oceano, a Londra, i loro colleghi inglesi avevano inciso un singolo “Do They Know It’s Christmas?”, uscito per Natale, il cui ricavato sarebbe andato in beneficenza per le popolazioni africane. Il tutto nacque da un’idea di Bob Geldof, musicista irlandese, dopo aver guardato uno speciale della BBC a cura di Michael Buerk sulla tragedia della carestia in Etiopia. Anche Geldof riuscì nell’impresa – chiamata “Band Aid” – di riunire grandi star come Phil Collins, Tony Hadley degli Spandau Ballet, Sting, Paul Young, David Bowie, Boy George, che arrivò appena in tempo, volando su un Concorde. L’iniziativa ebbe un tale successo popolare che la Thatcher – allora a capo del Governo conservatore – dovette rinunciare all’IVA sulla vendita del disco che invece, inizialmente, aveva dichiarato sarebbe stata regolarmente riscossa.
L’iniziativa inglese ebbe vita più lunga di quella americana.
A Band Aid I seguì un Band Aid II; nel 2014 ne fu celebrato il trentennale, ovviamente con altri artisti, stavolta allo scopo di raccogliere fondi per aiutare i Paesi colpiti dall’epidemia di virus Ebola. Così come sempre Geldof organizzò, nel tempo, concerti nei quali riunì decine di rock star, i cosiddetti “Live Aid”.
Anche noi abbiamo avuto il nostro Band Aid, “Musicaitalia per l’Etiopia”. Organizzato dal produttore David Zard, si riunirono molti artisti italiani, tra i quali, Fabrizio De Andrè, Lucio Dalla, Vasco Rossi, Loredana Bertè, Gianna Nannini, per cantare tutti insieme un arrangiamento, francamente non particolarmente accattivante, della canzone italiana più famosa nel mondo: “Volare”. Il brano, che raggiunse la seconda posizione in Hit Parade, non riscosse però il successo sperato. Non tutti i cantanti si recarono nella sala di incisione, ma si limitarono ad inviare il loro pezzo da mixare. E fu probabilmente questo a decretarne il parziale insuccesso: la mancanza di empatia, che invece filtra, seppure faticosa e sudata, dalle riprese del documentario che documenta “la notte che ha cambiato il pop.”
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