Giancarlo Piccolo: le vie manipolatorie delle sette religiose

Editoriale

Gennaio 23, 2024

Con l’ultimo romanzo “Solitudo. L’Abisso della Fenice” il giovane autore dice la sua.

Subdole, insidiose e celate. Le sette religiose nascondono in sè segreti di sangue e di pianto ancora poco narrati.

Il romanzo del giovane scrittore Giancarlo Piccolo, “Solitudo. L’Abisso della Fenice“, tratta con forza questo tema, e a parlarcene è proprio lo stesso autore.

Il suo romanzo “Solitudo. L’abisso della Fenice”, tratta il tema delle sette religiose, un argomento di grande importanza ma poco discusso. Per questo le chiedo: come mai secondo lei un tema simile non trova ampio dibattito presso sistemi di pubblica visione?

Che si parli, ancora oggi, davvero molto poco di sette, psico-sette e dinamiche settarie, è purtroppo vero ma, soprattutto nell’ultimo periodo, qualcosa sta finalmente cambiando.

La tendenza a discutere in maniera limitata dell’argomento consta, sicuramente, nella natura stessa delle sette: la riservatezza. Infatti, quasi mai vi sono prove circostanziali che affermino con certezza la frequentazione di gruppi settari in diverse aree del Paese.

A causa degli ultimi fatti di cronaca, però, e alla diffusione ancora più capillare di psico-sette in Italia, l’operato di culti distruttivi sta finalmente venendo alla luce.

In riferimento alle sette, bisogna dire che l’equazione che si è radicata nel tempo, sette = satanismo = comportamento criminale, è però errata.

Una setta, infatti, potrebbe non commettere alcun reato e per questo è necessario scindere il giudizio morale dalla realtà dei fatti: molti comportamenti potranno pur essere inaccettabili o lontani dal nostro modo di pensare, ma se questi non infrangono nessuna legge sono sempre legittimi.

La situazione cambia, invece, quando ci si trova dinanzi a una serie di reati.

All’interno della descrizione del suo romanzo vi è scritto testualmente: “Il risultato è un thriller mozzafiato, che tiene sul filo della tensione il lettore, pagina dopo pagina, il quale arriverà a chiedersi per chi stia provando empatia: per la vittima o per il carnefice”. Ecco, può spiegarci qual è la causa dell’insinuarsi di questo dubbio?

Il protagonista del mio testo è Alan, un giovane ragazzo americano che vive una perenne condizione di solitudine e inadeguatezza.

La conoscenza di una dolce ragazza che, come lui, vive una condizione di sofferenza, gli permette di entrare in contatto con un gruppo di uomini e donne che lo spingerà a commettere degli illeciti.

Il lettore, inizialmente, proverà quasi un senso di disgusto nei confronti dell’Alan-carnefice, ovvero verso l’incapacità di Alan di opporsi a richieste così macabre.

Successivamente, però, quando il giovane si rende conto che qualcosa davvero non va e che sta per cadere in un abisso più profondo di quello in cui era già immerso, deciderà di chiedere aiuto.

È proprio qui che il lettore inizierà a cambiare il suo parere nei confronti di Alan che, da carnefice diverrà vittima di un sistema, arrivando a fare il tifo per lui e per la sua rinascita.

Alla luce dei suoi scritti, dei suoi studi, e dei terribili casi di cronaca nera, secondo lei il problema del “fanatismo religioso” è qualcosa che vedrà mai la possibilità di una risoluzione futura?

Io credo che soprattutto l’intervento di associazioni di contrasto al fenomeno, oggi molto attive nel panorama nazionale, possano limitare notevolmente il problema in Italia.

Come per altri fenomeni, io non credo si possa trovare una soluzione definitiva; credo, altresì, che l’inasprimento delle pene e la lotta continua contro leader e gruppi settari, possa generare un senso di responsabilità affinché, tutti coloro che fanno del male, possano abbracciare una condotta di vita basata sul rispetto reciproco.

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