L’animazione come specchio della nostra cultura
Spesso a 24 fotogrammi al secondo, talvolta a 12 e all’inizio della loro storia a 6, i film d’animazione hanno da sempre emozionato grandi e piccini con le loro storie intrise di sentimento.
Ma c’è ancora chi si ostina a reputarli (e tacciarli) come banali film per bambini.
Se sei tra queste persone, beh, siediti nella posizione più comoda per te, coccolati con la tua bevanda preferita – possibilmente non alcolica perché concentrarsi da brilli non è così tanto semplice – e continua a leggere quest’articolo. Ma fallo anche se non sei tra queste persone, almeno così non ti sentirai solo/a.
Partiamo dal principio. Il concetto di animazione nasce nel 1888 grazie a Charles-Émile Reynaud, il quale ideò il théâtre optique, una macchina che proiettava su un telo delle figure disegnate su un rullo di carta. Nonostante l’anno di ideazione, per vedere il primo utilizzo pubblico di questo strumento dovremo aspettare però il 1892.
Esatto, 1892. Tre anni prima dell’invenzione del cinematografo dei fratelli Lumière, e automaticamente, tre anni prima della nascita del cinema come lo conosciamo noi. Hai capito a quel veggente di Reynaud, mica male.
Da lì in avanti, il mondo inizierà a non essere più lo stesso, per poi mutare definitivamente quando nel 1908 Émile Cohl realizzerà Fantasmagorie, il primo cartone animato della storia.
Ma passiamo al punto cardine di tutto, quello che ribadirò una seconda volta: il cinema d’animazione non è robetta per bambini.
Facciamo un salto di 22 anni approdando precisamente nel 1930, ossia quando Fleischer Studios, uno dei primi studi d’animazione, realizza il cortometraggio Dizzy Dishes. Qui farà la sua prima comparsa uno dei personaggi di fantasia più iconici e famosi di tutti i tempi: Betty Boop.
Ammiccante, sensuale, ma soprattutto libera, coraggiosa, e forte a tal punto da non permettere mai a nessuno di metterle i piedi in testa. Betty Boop è tutt’oggi una delle icone femministe migliori di sempre.
E ricordo che siamo negli anni 30′, in un’epoca in cui la donna è ancora maggiormente relegata in stereotipi e ruoli sottomessi, persino nell’animazione stessa. Infatti fino ad allora, i personaggi femminili non erano altro che la controparte secondaria di un personaggio maschile, ossia fantocci marginali e privi di una propria personalità.
Ma Betty Boop cambiò tutto, e nonostante la sua figura venne brutalmente censurata nel 1934 dalle linee guida morali del Codice Hays, essa contribuì a sdoganare per sempre degli aberranti dogmi.
Finito qui? Assolutamente no. Andiamo negli anni 40′, quando in Germania e in Italia governavano due spaventose e feroci dittature: quella di Adolf Hitler, e quella di Benito Mussolini.
Il controllo delle masse era per loro fondamentale, e in questo il cinema ebbe la sua grande importanza, compreso quello d’animazione.
L’esempio più emblematico per quanto riguarda la propaganda nazista, è certamente Armer Hansi del 1943. Narra la storia di Hansi, un canarino ardentemente desideroso di libertà, ma che dopo una serie di sfortunati eventi comprende che restare in gabbia è molto più saggio e sicuro. Tutto ciò è in piena linea col pensiero Hitleriano: la libertà è una semplice e pericolosa illusione, la certezza ferrea del regime e delle regole è invece vita, intelligenza e garante di un’esistenza felice. Idiozie ovviamente.
Soffermandoci invece sulla linea fascista, vi è il cinema di Luigi Pensuti. Egli divenne l’animatore di punta del regime, lavorando ad una serie di corti educativi e a diverse sequenze animate per le Riviste Luce.
Anche in questo caso il ruolo dell’animazione era quello di esaltare la forza del partito e delle sue ideologie, oltre che manifestare la (falsa) cura di Mussolini nei confronti di temi sociali come la prevenzione alla tubercolosi.
Due regimi, due linee, tre ideali: conquistare, tenere, sovrastare.
Fortunatamente ad essere maggiormente ricordate sono le opere d’animazioni anti-regime, come ad esempio il corto Disney Der Fuehrer’s Face del 1943, una satira feroce e spiazzante nei confronti del nazismo, La fattoria degli animali del 1954 tratto dall’omonimo romanzo di Orwell, e il più recente Porco Rosso del 1992.
Andando avanti nel tempo, gli anni 70′ e 80′ sono stati i più saturi di film d’animazione impegnati, come Fritz il gatto del 1972, che mette in luce temi come la ribellione giovanile, il sesso, la droga e la ricerca dell’identità, Il pianeta selvaggio del 1973, una riflessione pungente sul razzismo e l’antispecismo, e il capolavoro del 1988 Una tomba per le lucciole, il quale offre uno straziante spaccato su due fratellini orfani nel mezzo della seconda guerra mondiale.
Insomma, il cinema d’animazione è certamente fruibile dai più piccoli, così come è certamente pregno di opere dedite al puro e semplice intrattenimento, ma allo stesso tempo, esso continua ad offrirci capolavori in grado di farci riflettere, di cambiare la nostra prospettiva sul mondo, e di capire un po’ di più riguardo quella bizzarra e affascinante creatura chiamata essere umano.
Quindi, ripetiamolo insieme un’ultima volta: il cinema d’animazione non è robetta per bambini.
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