Of The Muses - Senhal
La risposta italiana alla danese Myrkur si chiama Of The Muses, solo project portato avanti dalla polistrumentista Cristina Rombi, che ci incanta con il suo blackgaze che rimanda anche ai francesi Alcest. La sua voce suadente diventa all’improvviso uno screaming pieno di sofferenza, e gli stessi pezzi si basano sulla splendida dicotomia tra improvvise accelerazioni e parti drammatiche in cui le atmosfere si fanno malinconiche e piene di phatos e sofferenza, quasi a diventare suggestioni dreampop.
A differenza della sua collega scandinava, che ha prodotto un penultimo disco ispirato alla tradizione come Folkesang, Cristina scava a fondo nelle sofferenze dell’animo umano e lo fa in maniera diretta, rinunciando a cori angelici, vero punto di forza di Myrkur, ma puntando su repentine accelerazioni che ti lacerano la pelle come un coltello affilato.
I pezzi sono sei, senza nome ma con la classica numerazione romana, a conferma che si tratta di una specie di concept che va assaporato in tutta la sua interezza, immergendosi tra le luci ed ombre della vita della Rombi. Amore, la speranza di vedere i propri sogni realizzarsi e la voglia di lottare per quello che si desidera ardentemente, sono le fondamenta delle liriche. Il quinto pezzo della traclist, da cui è stato tratto un video, è quello che forse fotografa meglio quello che Of The Muses sarà in futuro.
«Una canzone che non posso fare a meno di amare incondizionatamente – racconta – quella preferita dell’album, di gran lunga. Un pezzo della mia anima. Spero che un giorno qualcuno mi guardi e veda qualcosa di bello e qualcuno che valga la pena di amare e, ad essere onesti, mi sento vulnerabile a condividerla con la gente. Probabilmente è la scelta più strana per un singolo. È lunga più di 8 minuti, è una sorta di brano black metal senza batteria ed è cantata nella mia lingua madre. Ho lasciato il mio cuore in questo brano».
Che dire, chapeau alla Rombi, capace di dipingere un quadro in musica che rappresenta le diverse facce dell’animo umano.
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