Stavate aspettando la nuova stagione della serie tv che amate e ne avete perso le tracce? Attendevate con ansia l’uscita di un film in sala che poi non è avvenuta? State pur certi che non siete stati voi a essere mal informati o distratti, “semplicemente” c’è stato lo scontro interno a Hollywood più lungo di sempre.
In questi mesi, bazzicando sui social network, vi sarete resi conto che nelle didascalie delle notizie su ritardi d’uscita di film o serie televisive, o soltanto sotto le locandine degli stessi, trovavate hashtags come #sagaftraonstrike #sagaftrastrong, e vi siete sicuramente chiesti a cosa si riferissero.
Se nel precedente editoriale ci si è soffermati sull’estate 2023 come periodo più luccicante per il box office dai tempi del pre-Covid, ora si deve porre l’attenzione sull’altro lato della medaglia di quest’anno, ossia il momento più oscuro della storia della Hollywood moderna.
Lo sciopero del Sag-Aftra (i sindacati degli attori e degli autori cinematografici e televisivi americani) inizia proprio nello stesso periodo del Barbenheimer, in una cocente giornata di luglio, in cui il mondo della recitazione decide di fermarsi, in protesta alle policy contemporanee delle associazioni dei produttori, pretendendo un rinnovo del contratto con delle modifiche sostanziali su diritti e doveri.
Molti penserebbero che gli attori – come i calciatori o altre figure – sono così coccolati che si prendono pure le brighe di indire uno sciopero. Non è propriamente così, dato che tal volta da normali fruitori di blockbuster o di cult ci si sofferma solo sulla superficie del variegato mondo cinematografico, il quale ha al suo interno una miriade di lavoratori comuni che devono districarsi con difficoltà per crearsi uno spazio, nel mezzo di una macchina sistemica dalle logiche letali.
È decontestualizzato qui elencare tutti i punti e le vicissitudini dello sciopero come se fosse uno scritto di giurisprudenza, ma basti sottolineare come le questioni più spinose abbiano riguardato e riguardino due temi sensibili agli storici/sociologici del cinema di oggi: L’utilizzo dell’IA e il tracciamento delle opere on demand.
L’intelligenza artificiale è entrata a spada tratta nel cinema dalla porta principale, eppure non si può non dire che le stesse menti del cinema lo avevano preannunciato già da un secolo fa: Charlie Chaplin nel periodo classico con film come Tempi Moderni (1936); Fritz Lang con Metropolis (1927); Orson Welles e Stanley Kubrick con le rispettive opere; Sociologi e filosofi del cinema come Rudolf Arnheim, Bela Balàzs e altri, e la lista potrebbe continuare nonché essere più lunga della sceneggiatura di Killers of the flower moon (Martin Scorsese, 2023).
Svariate personalità di spicco nella storia hanno raffigurato nella settima arte ed hanno analizzato testualmente l’impatto imminente e futuristico della macchina, del mondo artificiale e virtuale. In un primo momento questo è avvenuto a causa del passaggio dall’analogico al digitale delle stesse opere, ora invece si pone un problema professionale e sociale, perché l’IA può addirittura sostituire l’attore, come un semplice operaio può essere sostituito dalle macchine in fabbrica.
Come porre rimedio a ciò? Come evitare che le produzioni utilizzino di meno le risorse virtuali che fanno risparmiare su ingaggi e sulle lavorazioni?
Questo è un dilemma che non si è del tutto risolto nemmeno nel recente accordo, stipulato dopo quasi 120 giorni di strike. Gli attori dal canto loro chiedono garanzie e protezioni sull’utilizzo dell’IA, o comunque delle percentuali sugli introiti nel momento in cui le produzioni utilizzano i loro volti digitali, come degli avatar. Questo si scontra con la logica delle produzioni di ridurre i costi ed aumentare i profitti, a maggior ragione nell’epoca in cui la fruizione è mutata drasticamente, perché la visione in casa si accomuna anzi sta quasi sostituendo quella in sala.
A proposito della visione casalinga, il secondo aspetto quello dell’on demand è centrale tanto quanto l’utilizzo dell’IA nei punti dello sciopero Sag-Aftra. Oggi le produzioni e le major guadagnano moltissimo grazie alle views delle proprie opere sulle piattaforme che ormai ognuno utilizza nella quotidianità. La richiesta tra le altre degli attori è stata quella di una percentuale di guadagno sulle riproduzioni online delle opere, come se rappresentassero una sorta di diritti d’immagine utilizzati con sudditanza.
Sui punti si è raggiunto una sorta di accordo come citato, seppur formalmente con scadenza triennale e che non convince ogni componente. Il tallone d’Achille del cinema contemporaneo è che l’IA e l’on demand sono processi in continua evoluzione, sulle quali non è possibile sviluppare un piano a lungo termine. Su questo le moderne tecnologie rappresentano per gli addetti ai lavori delle vere e proprie piaghe, paragonabili all’alienazione dei divi del muto all’avvento del sonoro.
Quasi quattro mesi di sciopero, che ha creato un’escalation senza precedenti (ce ne fu anche uno negli ‘Anni 80 ma con minor durata): post-produzioni rimandate; uscite di serie tv o di film posticipate; mancata presenza degli attori alle premiere o alle sponsorizzazioni di nuove pellicole; manifestazioni nei centri cittadini delle maggiori città statunitensi; proclamazioni e riflessioni incessanti online e sui quotidiani.
Molte star che rappresentano la punta dell’iceberg, hanno donato svariati milioni di dollari al sindacato per sostenere i colleghi meno agiati, in un periodo di mancanza di lavoro e di opportunità. È scesa però in campo la Hollywood della massa, non quella che vediamo agli Oscar o quella glamour dei festival, bensì la forza-lavoro, quella delle piccole produzioni, quella di contorno. Quell’attore che fa un cameo, quell’attore che ha avuto la fortuna di essere stato in una serie di successo, quell’attore che ha fatto una comparsa in una grande produzione, quel gruppo di attori che formano il cast e che non si vedono dalla copertina, lo stuntman delle scene action. Sono davvero meno importanti?
Assolutamente no, è quella la vera macchina hollywoodiana, quella che dalla nascita di questa strepitosa arte permette sperimentazioni, produzioni, innovazioni, creazioni e lavoro industriale. Sono loro che hanno reso Hollywood appunto un’industria, un’azienda che propone offerta in conseguenza ad una domanda, quella del pubblico di convivere con l’arte più affascinante e coinvolgente della storia dell’umanità.
Lo sciopero del Sag-Aftra ha dimostrato e dimostra che alcuni temi frutto di lezioni accademiche, di riflessioni critiche o di chiacchiere da salotti secondo la visione di molti saccenti, sono in realtà questioni che ormai non ledono, o comunque non solo l’arte visiva, ma influenzano oramai direttamente la mega-struttura e la vita degli addetti ai lavori.
Solo il tempo dirà se lo sciopero più delicato ed estenuante della storia del panorama americano sarà la cura o soltanto un anti-dolorifico, in merito ad un mondo culturale sempre più a svantaggio dei lavoratori, e sempre più alla mercè delle nuove multinazionali che gestiscono l’on demand e tout court il web. Il cinema arte dell’industria di massa (come appaiono lontani i tempi in cui si faceva la fila agli ingressi degli studios per i provini) che può diventare arte che dà lo stipendio a pochi. Ecco un nuovo paranoico capitolo, che un pensatore-pioniere come Walter Benjamin avrebbe forse aggiunto ne L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (1935).
- L’anima dietro i disegni del Commissario Ricciardi
- #SAGAFTRAStrike – Lo sciopero più lungo della storia di Hollywood
- My Kingdom Music: benvenuti nel mio regno oscuro
- Antonio Monizzi: lo storyteller che “caccia le anime”
0 commenti