Da tendenza social a nuova giovinezza per la sala cinematografica
Un’estate tra pop ed esistenzialismo. Frenetica, rovente, non solo per i dibattiti politici e sociali, fortunatamente anche per una stagione cinematografica che non si notava dal pre-Covid. Riportare un enorme flusso di pubblico in sala era impresa non da poco, eppure Barbie ed Oppenheimer ci sono riusciti, ma va detto fin dall’inizio non esclusivamente per la loro qualità artistica.
Se il primo è diretto dalla enfant prodige del cinema femminile Greta Gerwig, e nel cast hai Margot Robbie e Ryan Gosling, e se il secondo è l’ultimo di un certo Christopher Nolan, con protagonista Cillian Murphy – volto non solo cinematografico ma tanto amato anche dal pubblico seriale – di certo sono componenti che aiutano.
Tuttavia, il cosiddetto Barbenheimer non nasce estrinsecamente solo per l’uscita in contemporanea negli USA (in Italia non si è avuto esaustivamente il fenomeno, perché Barbie è uscito a luglio, mentre Oppenheimer ad agosto) di due titoli molto attesi del 2023 – nomi caldi anche per i prossimi oscar – bensì anche dai trend social.
Un dato di per sé sorprendente, proprio quei social che condizionano sia l’esperienza dello spettatore in sala (intrigato ossessivamente dalla luce delle notifiche sullo smartphone) sia in casa, che hanno creato una quotidianità cinica e dinamica, una velocità che il film per forza di cose non può avere, in tal caso aiutano lo stesso cinema a risollevarsi, a rendere di nuovo affascinante nell’era contemporanea una consuetudine del secolo precedente.
C’è da fare una premessa. Inizialmente l’uscita in contemporanea dei due film è stata vista come semplice scontro da box office assolutamente evitabile, perché il cinema spesso in questi anni è stato come un cane che si morde la coda. Quando si è avuta la notizia che Barbie era stato inserito in USA nella stessa settimana d’uscita di Oppenheimer, ad Hollywood molti hanno storto il naso, soprattutto l’entourage di Nolan, consci che un film blockbuster ma anche fortemente autoriale, non potesse competere come target di pubblico con un prodotto smart.
Si direbbe con un proverbio popolare “non tutti i mali vengono per nuocere”, e così è stato. I film non si sono annullati, non si sono scontrati e non si sono intrecciati, anzi si sono valorizzati a vicenda. L’hashtag del Barbenheimer è stato di tendenza su tutti i principali social per settimane, una vera e propria febbre di attesa, che ha creato una voglia o meglio un bisogno di andare in sala, tanto forte come prendere lo smartphone appena svegli al mattino.
Voglia e bisogno sono aspetti sui quali il cinema deve lavorare per il futuro. Esso ha la fortuna di non essere analogico. Essendo sorto come arte meccanica può rinnovarsi attraverso le nuove tecnologie, seppur oggi dia a tutti l’impressione che sia arrivato ad una sorta di saturazione. Questo per svariati fattori, i quali non si possono approfondire in questo scritto, eppure basta citarne soltanto uno tra gli altri: L’idea che il piccolo schermo potesse sostituire il grande schermo, soprattutto dopo l’esperienza pandemica. Invece, ci si sta rendendo conto che non è propriamente così.
Quindi come fare? Così come è successo tra cinema e teatro nel secolo scorso, trovare un compromesso, inculcare nella cultura generale che ogni medium ha una sua peculiare esperienza, che si può emulare ma che altri media non possono imitare, ed è una sottile ma cruciale differenza (spunto di riflessione per chi guarda ormai i film soltanto a casa).
La furbizia di chi fa cinema, è di seguire l’onda di quello che è successo con tali film estivi: utilizzare i social non per allontanare dalla sala, bensì per avvicinarla, per creare un ponte che possa servire ad aziende differenti di crescere insieme.
Su tale aspetto bisogna rimarcare anche il marketing, ossia l’altro lato della medaglia entrato prepotentemente nel mondo social. La genialità dei due titoli sta (anche) qui, nel progetto pubblicitario e di marketing veramente ben collegato con la contemporaneità e con le mode dei più giovani. Su ciò ha marciato tantissimo Barbie, forte di un linguaggio sfacciato, è riuscito a creare una campagna di marketing ai limiti della sudditanza psicologica. Si pensi al fenomeno delle Birkenstock (chi ha visto il film sa), si pensi alla linea pink di abbigliamento, che ha animato feste, eventi e manifestazioni, si pensi, inoltre, alla costruzione di una casa ad hoc di Barbie, per unire l’immaginario dei giocattoli col mondo reale (che è poi il mantra nel multiverso della pellicola).
Diverso è il discorso per Oppenheimer, un visionario del cinema moderno come Christopher Nolan crea la sua fortuna – aldilà della fattura tecnico stilistica delle sue opere – sull’idea che c’è dietro alla produzione, in perfetta simbiosi con il pensiero contemporaneo. Cosa ha suscitato mediaticamente più interesse nell’ultimo triennio insieme al Covid? Lo spettro di una nuova guerra in Europa, e di conseguenza mondiale.
Il genio di Nolan è quello di riuscire a combinare il pensiero contemporaneo con la tendenza cinematografica attuale, questa è una caratteristica come autore che lo sta contraddistinguendo nell’arco di un’invidiabile carriera. Il marketing di Barbie è stato pratico, da shopping compulsivo, quello di Oppenheimer è stato da frecciata dritta all’inconscio, da fascino imperscrutabile verso la distruzione, verso la morte, verso la fine. Sindrome che oggi vige in tutto: dalle nuove politiche estremiste, fino alla situazione dei repentini cambi climatici.
Come ultimo aspetto, ma non meno importante, va sottolineato che aldilà delle componenti marketing/social, anche le nuove scelte di investimento sul cinema da sala stanno aiutando, soprattutto nella ritardataria Italia.
Gli investimenti sulle strutture sono collegate al citato bisogno, perché creare un bisogno significa che tante dinamiche le si possono vivere in sala: un tipo di poltrona che si può avere in sala; un tipo di audio e di video che si possono ammirare in sala; un tipo di snack o di bevanda che si possono trovare per lo più in sala. Sono anche questi i fattori che creano il bisogno di raggiungere la sala, proprio perché il cinema non deve mancare oggi di umiltà, deve comprendere che non basta più la semplice visione dell’opera per attrarre quel pubblico di massa, che l’ha reso da sempre l’arte più popolare. Questo è un tipo di investimento che una nota azienda del settore in Italia ha voluto calcare, oltre al voler inseguire il trend americano delle uscite di titoli top film nei mesi estivi, così da avere un calendario annuale eterogeneo e diversificato.
Il flusso ha portato a risultati storici: Barbie è il miglior incasso della storia per un film diretto da una regista donna; Oppenheimer è il maggior incasso di sempre per un’opera sulla guerra e per un biopic.
Non male come risultato dopo una pandemia e dopo l’incessante ascesa dell’on demand e della serialità televisiva (che oramai vanta una qualità estetico-contenutistica che fa invidia a tanti lungometraggi). Ora c’è una possibilità, che non faccia di tutto questo una bolla, una parentesi felice, bensì una consapevolezza sul come intraprendere un inedito percorso, sul come rinnovare all’interno e nel dettaglio un’intera “macchina”. Il cinema è totalizzante: è pop, satira, ironia, politica e antropologia come in Barbie, è riflessione, paranoia, storiografia e coinvolgimento emotivo come in Oppenheimer.
Il Barbenheimer non è scontro o competizione, è armonia, è sintesi, è unione di opere diverse ma con la stessa finalità. Corsi e ricorsi storici, perché se il teatro ha appunto alla lunga convissuto col cinema e tutt’ora lo fa, allora si può ipotizzare che la sala cinematografica possa stringere la mano con costanza al potente mondo del web 3.0?
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